Ven. Apr 19th, 2024

Le motivazioni della sentenza d’Appello contro l’ex sindaco: alterazioni macroscopiche dei bilanci, non poteva non sapere. Il cordone ombelicale con Orsola Fallara: «Era il dominus dell’amministrazione». Per i giudici le irregolarità erano commesse per mantenere il consenso politico.

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Giuseppe Scopelliti non solo era consapevole dei reiterati falsi che hanno provocato una voragine nel bilancio del Comune di Reggio Calabria, ma ne era «l’ideatore». Non lascia margine di interpretazioni la Corte d’appello di Reggio Calabria nel motivare la sentenza con cui ha confermato la condanna di Scopelliti, in qualità di ex sindaco, e dei revisori dei conti dell’epoca, Carmelo Stracuzzi, Domenico D’Amico e Ruggero De Medici, ritoccando solo lievemente le pene.

INDIZI GRAVI, PRECISI E CONCORDANTI «La responsabilità dell’imputato Scopelliti – scrivono i giudici – si ricava da numerosissimi indizi. Gravi, precisi e concordanti, che formano nel loro insieme la prova logica di tutti gli elementi costitutivi dei reati contestati allo stesso». E per la Corte, presieduta da Adriana Costabile, con Antonio Giacobello e Luigi Varrecchione a latere, «innanzitutto, il primo elemento di eccezionale valenza probatoria è costituito dalla palese alterazione per importi macroscopici dei bilanci del Comune di Reggio Calabria». Un dato emerso in maniera solare dall’esame dei periti e confermato dal naufragio finanziario dell’Ente seguito all’amministrazione Scopelliti, che il sindaco – spiegano i giudici – non poteva non conoscere anche a causa della «reiterata e pubblica protesta degli imprenditori e dei creditori del Comune, tanto frequenti da assumere una visibilità a tutto campo».

SCOPELLITI NON POTEVA NON SAPERE Circostanze di cui Scopelliti era a conoscenza, sottolinea la Corte, valorizzando quanto dichiarato nel corso del dibattimento dal Presidente dell’associazione costruttori, Andrea Cuzzocrea, secondo il quale «il sindaco era stato reso partecipe dei gravi inadempimenti dell’ente nei confronti dei creditori». Ma che il sindaco dell’epoca non potesse non sapere per i giudici si deduce anche «dai continui e puntuali rilievi della Corte dei Conti sulla gestione dell’ente (trasmessi al sindaco e oggetto di controdeduzioni redatte dai revisori dei conti e firmate dal sindaco), ai quali facevano da cassa di risonanza le doverose proteste dei consiglieri comunali di minoranza nelle sedi istituzionali (non considerate per nulla da chi all’epoca aveva il compito di verificare se esse fossero veritiere, tra i quali vi erano anche i revisori contabili), degli imprenditori (sia singolarmente, sia mediante i loro organi rappresentativi) e poi dei dipendenti delle società partecipate e del comune, per i ritardi nei pagamenti dei loro stipendi».

INFORMATO SULLE CRITICITÀ FINANZIARIE Ma banalmente – sostiene la Corte – per quanto “distratto”, Scopelliti non poteva non sapere perché tali criticità gli sono state all’epoca comunicate. A dirlo in aula nel corso del dibattimento è stata anche Fedora Squillace, la quale – ricordano i giudici – «ha riferito chiaramente che i seri problemi di carattere economico finanziario nel Comune di Reggio Calabria erano perfettamente conosciuti dal sindaco, il quale, tra l’altro, era stato messo al corrente dal teste Raffa, durante l’amministrazione Scopelliti, delle distrazioni delle somme destinate alle spese vincolate».

L’ASSESSORE OMBRA Criticità, falsi e abusi – ricorda la Corte – che più di un testimone riconduce alla potentissima dirigente del settore Bilancio, Orsola Fallara, vero e proprio assessore ombra, come lo stesso Scopelliti – evidenziano i giudici – ha finito per ammettere nel corso del suo esame. «Nel corso dell’esame dibattimentale, per una sorta di emersione delle reali funzioni svolte dalla dirigente dell’Ufficio Finanze – si legge in sentenza – l’ha definita come la persona chiamata a guidare l’assessorato al bilancio (“chiamai la dott.ssa Fallara a guidare quell’assessorato”)». Peccato che Fallara non abbia mai, quanto meno ufficialmente, ricoperto quel ruolo. Di fatto invece sì. «Di tale prevaricazione – spiega la Corte – vi è ampia dimostrazione nelle dichiarazioni degli assessori al bilancio, dei politici di opposizione e dello stesso teste Cuzzocrea, dalle quali si evince che tali figure istituzionali erano solo dei simulacri che avevano il compito di occupare un posto di funzione senza però esercitarne il relativo potere svolto, di contro, in modo penetrante e assolutistico dalla dottoressa Fallara».

RAPPORTO OMBELICALE Una facoltà dovuta al rapporto ombelicale della potentissima burocrate con il primo cittadino. Non a caso i giudici sottolineano «per quel che concerne l’allora sindaco, dal dibattimento è emersa l’esistenza di un fil rouge che ha accompagnato tutta la sua gestione politico-amministrativa, ossia la sovrastante presenza della dottoressa Fallara, voluta dall’ex sindaco Scopelliti e mantenuta nell’incarico da quest’ultimo, intuitu personae, nonostante i comportamenti ostruzionistici della stessa nei confronti di tutti i dirigenti e degli assessori al bilancio e nonostante i chiari segnali di dissesto del Comune».

I LUSSI DI ORSOLA In sintesi, spiegano i giudici, Fallara da semplice dirigente «era divenuta il dominus dell’amministrazione grazie all’appoggio del Sindaco», tanto da potersi anche permettere il lusso di «provocare le dimissioni di un assessore al bilancio che non si era allineato alla sua “policy” (rectius: dello Scopelliti ndr)», ma anche di «credere e da far credere di essere legibus soluta, fino ad imporsi con arroganza e supponenza sugli altri dirigenti», nonché di «alterare i dati contabili dell’ente ad libitum senza che nessuno potesse contrastarla». In più, aggiungono i giudici, «non si curava neanche delle valutazioni cui sono sottoposti i dirigenti (come se fosse una figura politica anziché tecnica) ed aveva creato, con atteggiamenti arroganti, una barriera nei confronti degli altri dirigenti e dipendenti del Comune ed era solita spendere il nome del sindaco ogniqualvolta doveva imporre una determinata linea ed impediva l’accesso al c.d. bilancio analitico (recte, PEG)». Insomma, Fallara era il vero, potentissimo, indiscutibile assessore al Bilancio. E per i giudici «Solo facendo leva sul suo stretto rapporto fiduciario con il sindaco Scopelliti, la dottoressa Fallara, definita “onnipotente” dal testimone Raffa, ha potuto determinare le sorti del bilancio comunale, prevalendo anche sull’assessore».

LO “STRUMENTO” ESPIATORIO Per i giudici «Fallara era lo schermo dietro il quale agiva il sindaco Scopelliti che aveva voluto fortemente la stessa quale dirigente di un settore strategico dandole la possibilità di portare avanti, nel dissenso di buona parte dell’amministrazione». A testimoniarlo, aggiunge la Corte, anche i finanziamenti ad istituti religiosi, «concessi senza rispettare i principi di imparzialità e di trasparenza che stanno alla base della procedura ad evidenza pubblica, sull’input del Sindaco che trasmetteva le richieste mediante una sigla e l’indicazione dell’importo sulle stesse, immediatamente e scrupolosamente recepite ed eseguite dalla dott.ssa Fallara». La potentissima dirigente dunque non era che «una perfetta esecutrice di direttive precise che provenivano dal Sindaco Scopelliti, che, tramite lei, ha creato un sistema accentrato su se stesso esautorando di fatto tutti coloro che avrebbero potuto ostacolarlo (cioè i dirigenti non asserviti al suo dominio e gli Assessori che eventualmente avessero voluto svolgere le loro funzioni correttamente)».

LA CONSAPEVOLEZZA DI SCOPELLITI Un sistema di cui il primo cittadino non poteva che essere a conoscenza per una serie di fattori. Primo, ha partecipato, anche in qualità di assessore al Bilancio ad interim, alle sedute della giunta e del consiglio comunale che avevano ad oggetto l’approvazione del bilancio e in cui venivano manifestati i rilievi (rivelatesi fondati) da parte e del gruppo di minoranza. Secondo, Scopelliti era stato ben attento ad attorniarsi di «assessori totalmente adagiati sulle sue posizioni, alcuni dei quali avallavano lo strapotere della dottoressa Fallara». Terzo, ma non meno importante, la dirigente ha beneficiato per anni di incarichi remunerati con ingenti somme non dovute per rappresentare l’ente davanti alle commissione tributarie, «ottenendo tali conferimenti direttamente dal sindaco Scopelliti senza il controllo dell’ufficio legale e dell’ufficio di Gabinetto, come invece avveniva per gli altri incarichi». Inoltre, il primo cittadino, anche dopo essere diventato ex, «dimostrava propensione a distrarre somme di danaro per scopi difformi da quelli per i quali erano state stanziate (si rammenta la riunione in cui Scopelliti aveva rappresentato la possibilità di estinguere i debiti del Comune mediante somme a destinazione vincolata per il risanamento dei torrenti».

MOVENTE POLITICO Per i giudici, tutto questo non fa che confermare «anche sotto il profilo logico, che l’ideatore delle falsificazioni contabili fosse il sindaco Scopelliti, il quale si è avvalso della accondiscendenza della dottoressa Fallara per attuare la sua linea politica travalicando e stravolgendo la netta separazione che dovrebbe essere demarcata tra livello politico e livello manageriale nelle pubbliche amministrazioni». E a nulla sono valsi i miseri tentativi di Scopelliti di scaricare tutto sulle spalle della Fallara. «Appare opera destituita di logica e non rispettosa del dato istruttorio emerso chiaramente» chiosano i giudici. Perché – sostiene la Corte – «in linea generale , non è credibile che il sindaco di un Comune di circa 200.000 abitanti abbia lasciato il bilancio, ovverosia lo strumento principale per attuare le scelte politiche e per andare incontro alle esigenze degli elettori, nelle mani della dirigente del settore, sia perché vi è in atti la prova del contrario, ovverosia che è stato proprio per garantire le finalità dell’uomo politico che la Fallara ha alterato i dati di bilancio fornendo una rappresentazione diversa da quella effettiva». Motivo? Tutto politico. «La serie di falsi ideologici, di irregolarità, di funzionali occultamenti della reale situazione di difficoltà dell’Ente – concludono i giudici dell’appello – erano commessi al fine di mantenere il consenso e lo status qua».

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