Ven. Apr 19th, 2024

L’ex vicepresidente del Consiglio regionale è accusato del reato di intestazione fittizia di beni. Ricostruzione smentita dal Gip dell’antimafia Barbara Bennato. Il 17 settembre e il 22 ottobre la decisione dei giudici terzi

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In dodici, tra cui l’ex vicepresidente del Consiglio regionale Francesco D’Agostino, hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato, mentre sono stati rinviati a giudizio dal Gup distrettuale Olga Tarzia, tutti gli altri 40 imputati del maxiprocesso “Alchemia”, che ha colpito le cosche “Raso-Gullace-Albanese” attive a Cittanova con ramificazioni in Liguria e “Parrello” di Palmi.

Oltre a D’Agostino hanno scelto il rito abbreviato anche Adolfo Barone, Pietro Barone, Massimiliano Corsetti, Salvatore Mazzei, Maro Parrello, Pietro Pirrello, Antonino Raso (classe 1988), Giuseppe Raso, Giampaolo Sutto, Luigi Taiano e Annunziato Vazzana. L’ex vicepresidente del Consiglio regionale, autosospesosi dall’incarico dopo aver scoperto il suo coinvolgimento nell’inchiesta, difeso dall’avvocato Guido Contestabile, è accusato del reato di intestazione fittizia di beni aggravata dall’aver agevolato la ‘ndrangheta in concorso con Girolamo Giovinazzo, Francesco Gullace e Girolamo Raso (deceduto). Per la Dda di Reggio Calabria, D’Agostino, sarebbe un avamposto della cosca Gullace di Cittanova, tanto che in un primo momento gli inquirenti avevano chiesto per lui l’arresto, negato poi dal gip Barbara Bennato. Secondo il capo di imputazione, la sua ditta “Stocco&Stocco” sarebbe intestata fittiziamente a D’Agostino ma, di fatto sarebbe di Girolamo Giovinazzo detto Jimmy, e di Francesco Gullace. Un escamotage per aggirare la legge da un’eventuale aggressione ai patrimoni mafiosi. Per il gip Bennato invece, «l’assunto accusatorio – non è condivisibile, essendo dalle indagini emersa un’immanente accessibilità all’azienda da parte degli indagati, leggibile piuttosto attraverso la contestualizzazione dell’attività aziendale esercitata in territori nei quali, nulla si muove ed alcuna iniziativa si intraprende senza il controllo delle cosche ivi imperanti che, anche nel corso della gestione delle imprese, non lesinano di atteggiarsi a “padroni” della stessa, le cui prestazioni e partecipazione sono gratuitamente dovute, in forza di un genetico compromesso».
Ad indicare la “Stocco&Stocco” come impresa delle ‘ndrine è stata in passato Teresa Ostarteg, ex moglie di Vincenzo Mamone, parente degli uomini del clan. La donna avrebbe appreso che l’azienda era in realtà di proprietà di Francesco Gullace, fratello di Carmelo Gullace considerato il boss della Liguria, nel corso di conversazioni familiari.

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