Gio. Apr 25th, 2024

Il racconto del pentito Foschini negli atti di “‘Ndrangheta stragista”. I Papalia decisero l’omicidio dell’educatore carcerario che si rifiutò scrivere una relazione addomesticata in favore del boss. Fu un riferimento all’intelligence a decretarne la morte

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Sono stati i Servizi a dare il nulla osta per l’omicidio dell’educatore carcerario Umberto Mormile e sono stati loro ad ordinare di rivendicarlo come “Falange Armata”. Paola di Vittorio Foschini, negli anni Novanta capo del clan Coco Trovato a Milano, dunque – dice lui stesso di fronte al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e al sostituto della Dna, Franco Curcio – «referente dei De Stefano».

UNO CHE SA Oggi lucido pentito, negli anni Novanta, Foschini era un uomo di vertice della ‘ndrangheta che contava e conta, in grado di sapere molto di quello che alla truppa di picciotti e affiliati mai veniva comunicato. Uno dei pochi ad essere informato – e probabilmente solo in parte – su come e in che misura le mafie siano state chiamate a giocare la partita del riassetto dei poteri in Italia tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta.

QUESTIONE DI POTERE All’epoca, il vecchio sistema dei partiti crollava sotto i colpi di Tangentopoli, mentre fuori dai confini nazionali il crollo del muro di Berlino sanciva la fine del “pericolo rosso”. Ma chi su quella paura aveva costruito il proprio impero, non aveva intenzione di cedere un grammo del proprio potere. E pur di mantenerlo – questa la tesi alla base di indagini come ’Ndrangheta stragista e altri approfondimenti in corso – non ha esitato a scommettere sulle mafie, che già nei decenni precedenti avevano mostrato ampie disponibilità alla collaborazione.
Dietro gli attentati che negli Novanta hanno insanguinato l’Italia non c’era dunque solo la mafia siciliana. Anche ‘Ndrangheta, eversione nera, i servizi forgiati alla scuola delle operazioni “Stay behind” e massoneria piduista hanno firmato omicidi e stragi. Incluso quello di Umberto Mormile.

LA LUCIDA TESTIMONIANZA DI FOSCHINI È questa la pista che segue la Dda di Reggio Calabria, che dopo l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Rocco Filippone e Giuseppe Graviano come mandanti degli omicidi e dei tentati omicidi dei carabinieri, continua ad indagare. Agli atti della monumentale inchiesta ci sono anche i verbali di Vittorio Foschini, che con lucidità quasi disarmante ricostruisce l’omicidio dell’educatore carcerario, ucciso – lo dice chiaramente – per non essersi piegato ai voleri di Antonio Papalia e per aver capito fin troppo bene i rapporti del boss con i servizi.

OMICIDI DA NASCONDERE? Mormile – dice chiaro e subito Foschini – non era un corrotto, nonostante tutto il fango che gli hanno riversato addosso. «Venne ucciso – spiega – perché rifiutò di fare una relazione compiacente a Domenico Papalia». All’epoca, ricorda, il boss era detenuto per il delitto D’Agostino, il boss di Canolo che forse tutti temevano un po’ troppo vicino a Vittorio Occorsio, il magistrato romano che già negli anni Settanta si era avvicinato ai rapporti d’affari che ‘ndrangheta, massoneria e servizi avevano intrecciato ai tempi dei sequestri. Cosa D’Agostino avesse o potesse aver raccontato a Occorsio non è dato sapere. Entrambi sono stati uccisi, a meno di un anno di distanza l’uno dall’altro. E nel delitto D’Agostino, afferma Foschini, «secondo quanto appresi da Antonio Papalia, erano coinvolti anche i servizi segreti».

IL NO DI MORMILE Sempre dal boss Papalia, Foschini dice di aver saputo come e perché sia stato ucciso Mormile. E ricostruisce con precisione l’intera sequenza di fronte ai procuratori Curcio e Lombardo. «Prima Domenico in carcere chiese il favore a Mormile, voleva una relazione addomesticata; Mormile rifiutò. Ciò avvenne in quanto Mormile aveva già bloccato un permesso di Domenico Papalia. Ci fu un diverbio. Domenico comunicò la cosa al fratello Antonio in un colloquio dicendo al fratello di convincere il Mormile». Ai boss di ‘ndrangheta i “no” non piacciono. Di fronte ad un “no” non si rassegnano. Dal carcere, racconta il pentito, Domenico Papalia ha chiesto al fratello Antonio di intervenire.

I RAPPORTI CON L’INTELLIGENCE «Antonio – continua a riferire Foschini – nei giorni successivi, subito fuori dal carcere, avvicinò il Mormile che si rifiutò di nuovo nonostante la promessa di 20 milioni dicendo che lui non era dei servizi». Rapporti reali, non millanterie. «Erano veri ed esistenti – ci tiene a ribadire Foschini –. Infatti nel carcere di Parma, in precedenza, il Papalia Domenico aveva rapporti e colloqui con i servizi. Ciò mi venne detto da Antonio Papalia che pure aveva rapporti con i servizi come pure lui stesso mi confidò».

DIGNITÀ A CARO PREZZO Per questo il riferimento fatto dall’educatore carcerario mette i fratelli Papalia in allarme. Che diventa rosso quando si accorgono che l’uomo non è corruttibile. «Di seguito – ricorda il pentito – Antonio riferì al fratello Domenico, nel corso di un colloquio in carcere che il Mormile non cedeva e che anzi aveva fatto allusioni ai servizi. Domenico si preoccupò e deliberò l’omicidio». A dispetto di tutto il fango che negli anni dell’inchiesta gli è stato buttato addosso per dipingerlo come un corrotto, Mormile ha pagato con la vita la sua schiena dritta. E la sua perspicacia. «Insomma, questa allusione sui rapporti Servizi-Papalia, oltre che al rifiuto di fare il favore, fu fatale al Mormile» sintetizza Foschini.

IL NULLA OSTA Il suo omicidio però – mette bene in chiaro – non poteva essere deciso dai soli Papalia, o anche solo dalla ‘ndrangheta. C’erano altri attori da coinvolgere. «Secondo il racconto fatto a me da Antonio Papalia, lo stesso Domenico Papalia precisò anche che bisognava parlare con chi di dovere e cioè con i servizi, vista l’allusione che era stata fatta e visto che non si doveva sospettare di loro (cioè dei Papalia)».

ISTRUZIONI È stato Antonio – racconta – a occuparsi del contatto. «Lo disse a me a Flachi, a Cuzzola, a Coco Trovato ed altri», ricorda Foschini. E gli uomini dell’intelligence – dice chiaro – «dando il nulla osta all’omicidio Mormile si raccomandarono di rivendicarlo con una ben precisa sigla terroristica che loro stessi indicarono». La sigla era Falange armata. La stessa poi usata per firmare l’omicidio dei carabinieri a Reggio Calabria, gli attentati di via Palestro, via dei Georgofili e altri.

RIVENDICAZIONE SOTTO DETTATURA Della rivendicazione per l’omicidio Mormile, Foschini è stato testimone. «Fu Antonio Papalia allora che ordinò a Brusca Totò (persona che comunque potrei riconoscere) di telefonare ad un giornale e fare la rivendicazione a nome di questa presunta organizzazione terroristica. Ciò avvenne sotto i miei occhi addirittura prima dell’omicidio. Il Papalia Antonio, infatti, disse a questo Brusca che appena eseguito l’omicidio, lui doveva fare la telefonata di rivendicazione».

L’INIZIO DI UNA SCIA DI SANGUE Brusca, all’epoca uomo di vertice del clan Barbaro-Papalia a Milano, né si oppone, né chiede spiegazioni. Esegue. La Falange armata firma il primo di una lunga serie di omicidi, attentati, stragi, diversi per target e luogo, ma uniti dall’insensata ferocia che li ha caratterizzati. E dall’impossibilità di individuarne i mandanti. Per ora.

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