Gio. Apr 18th, 2024

di Franco Blefari

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Il lunedì dopo la festa del Rosario ci svegliavamo di buon’ora, noi (eterni!) bambini, per andare in cerca di qualche trancio di ghiaccio ( che i “ferari” di Bovalino trasportavano in paese a balle avvolte nella paglia ), nel punto in cui serviva per tenere al fresco, in una capiente bagnarola, le bibite marca Capogreco dell’omonima fabbrica del mio paese.. C’era ancora il profumo dei gelati della famiglia Italiano, per le strade, e qualche cono per terra dal quale fuoriuscivano lacrime di cioccolato fuso , forse gelato buttato da qualche bambino ricco a cui non piaceva mai nulla, come a qualche mio compagno di giochi il quale,oltre al latte, buttava anche la mortadella ..Per le strade, c’era tutta le memoria ancora fresca della festa: “scorzi ‘i nuciglina mericana, calia pistata vasc”e pedi, caramegli squagghjati, ossa ‘i porcu senza ‘nu filu ‘i carni ( ca puru tandu fecènu ‘u cottu du’ porcegliu ), carta velina cunduta, stuppagghja ‘i birra Messina, o atti marchi, mmorza ‘i pizza, chi tandu ncignavanu ‘i portanu p”a prima vota c”u cambiu, e ‘nu mari ‘i carti e carticegli, scatuli e scatulegli scassati. ‘Nta ll’aria ndavìa ancora ‘a dduri d”i mastazzola.Ma il più bello doveva ancora arrivare! Incominciava allora la caccia alla polvere da sparo caduta a terra dai fuochi artificiali della notte appena passata, il cui odore acre riempiva la nostra fantasia già dal giorno prima, oltre che le nostre tasche, nel momento in cui .la facevamo brillare in rudimentali bombe confezionate con carta trovata sul posto.Quel giorno, avevamo quasi tutti conservato a casa un ricordo caro della festa: chi un palloncino ad aria e chi un giocattolo. Io, invece( ma non ditelo a nessuno, sennò…) qualche frittola della caldaia del maiale che mio padre preparava da vendere a paesani e forestieri.Forse perchè era il ricordo più vivo e tangibile della festa. Di quella festa che, una volta, univa tutto il paese…

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