Gio. Apr 18th, 2024

Una sentenza del Consiglio di Stato prevede che i dipendenti pubblici comunichino l’iscrizione alle logge massoniche. Ma nessuno in Calabria ne ha mai tenuto conto. E negli elenchi consegnati dalla Finanza all’Antimafia non mancano nomi di funzionari e dirigenti

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Non inganni il silenzio della politica (e non solo della politica): il lavoro della Guardia di finanza sugli elenchi della massoneria (ve ne abbiamo parlato qui, qui, e qui) non è passato inosservato, specie nelle stanze della Cittadella regionale.
Quel lavoro, assieme a una sentenza emessa dal Consiglio di Stato nel 2003, può creare grossi grattacapi ai “fratelli” al lavoro negli uffici pubblici. Conviene, però, procedere con ordine. E cominciare a raccontare l’ultimo pezzo di questa storia: un concitato scambio di opinioni tra Rosy Bindi e Stefano Bisi in Commissione parlamentare antimafia.
La presidente dell’organismo parte da lontano: «Cito il Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 610/2003, numero 5881: “Il dipendente della pubblica amministrazione può anche essere iscritto a una loggia massonica (non deviata) ma deve sempre e comunque comunicarlo preventivamente, altrimenti rischia il licenziamento, e a nulla vale appellarsi al diritto alla privacy perché, in ogni caso, prevalgono i princìpi della trasparenza e del buon andamento della pubblica amministrazione”».
Sono trascorsi 14 anni da quando i giudici amministrativi hanno respinto il ricorso di due nominati dalla Regione Toscana che avevano nascosto la loro appartenenza a una loggia. E questa pronuncia dovrebbe essere stata già rispettata e fatta propria alla pubblica amministrazione.
Breve (ma importante) digressione calabrese. Domanda numero uno: ci sono massoni al lavoro alla Cittadella regionale e negli enti pubblici? Certamente sì. Domanda numero due: ci sono dipendenti pubblici che hanno segnalato la propria appartenze alla massoneria? Certamente no. Le preoccupazioni, una volta “rispolverata” la sentenza del 2003 e rilette le dichiarazioni di Rosy Bindi, potrebbero arrivare proprio dalle risposte alle due domande.
Lo sa anche Bisi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, che (pur non riferendosi alla Calabria) spiega, sempre in quella riunione a Palazzo San Macuto: «I nostri fratelli hanno chiesto ai loro superiori che cosa debbano fare». Eppure la sentenza non dovrebbe lasciare dubbi.
Sullo sfondo resta la madre di tutte le questioni (che è, poi, ciò che giustifica la richiesta di trasparenza): cosa succede nel caso in cui i membri di una commissione giudicatrice debbano vagliare il progetto redatto (o la candidatura proposta) da un loro confratello? A chi saranno fedeli: alla loggia o all’ente pubblico?
Il rischio è che le logge diventino camera di compensazione tra livelli che, invece, non dovrebbero “parlarsi”. A questo proposito, Bisi cerca di nuovo di rassicurare la commissione: «Se fossi presidente di una commissione di concorso per docenti universitari, tra l’onorevole Rosy Bindi, che prima faceva la professione universitaria, e un fratello alle prime armi nel diritto amministrativo, riterrei che l’onorevole Rosy Bindi, appunto per lo studio che ha fatto, sia più preparata e farei vincere il concorso all’onorevole Rosy Bindi e non all’altro perché è un fratello».
Tutto in ordine? Forse. Ma l’applicazione della sentenza del Consiglio di Stato sarebbe molto più confortante.
«Non dubito del fatto che la vostra legge interna – sono sempre parole di Bindi – vi imponga un rigore tale per cui, se l’imprenditore o il professore non hanno i titoli, non li fate partecipare. Preferisco, però, oltre alle buone intenzioni della persona, una legge che mi tuteli».
E il Consiglio di Stato, 14 anni fa, ha stabilito che è legittima una legge regionale che impone a un soggetto l’obbligo di comunicare l’appartenenza ad una loggia massonica ai fini del conferimento di un incarico pubblico. Nel farlo si è richiamato alla Legge Anselmi, nata dallo scandalo della Loggia P2. Quell’obbligo, per i giudici, non viola il diritto di riservatezza: è una questione di trasparenza. Chissà quanti curriculum avrebbero bisogno di essere rivisti nelle stanze della Regione.

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