Ven. Mar 29th, 2024

Pubblica l’audizione dell’ex gran maestro Di Bernardo alla Commissione Antimafia. Il racconto degli incontri segreti con il magistrato Cordova. La guerra fratricida nel Grande Oriente d’Italia. E le parole del suo “vice” cosentino Loizzo: «Abbiamo dovuto subire» l’infiltrazione della ‘ndrangheta

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Ettore Loizzo non potrà confermare né smentire le parole di Giuliano Di Bernardo. L’ex gran maestro del Goi, uno dei massoni calabresi più in vista negli anni 90, è morto nel 2011. Ha attraversato l’inchiesta di Agostino Cordova, pm di Palmi, sulla massoneria deviata. Ma il suo nome torna nelle carte di “Gotha”. La Dda di Reggio Calabria punta a chiarire i rapporti tra “fratelli” e ‘ndranghetisti: a carico di Loizzo, ovviamente, non ci sono accuse. Il suo ruolo, però, viene evocato negli interrogatori del gran maestro che denunciò le infiltrazioni mafiose nelle logge. Circostanze ribadite da Di Bernardo davanti alla Commissione Antimafia. La sua audizione è del 31 gennaio 2017. È stata resa pubblica solo qualche giorno fa, dopo un minuzioso lavoro di correzione e limatura dei passaggi più delicati. Il fulcro, però, è rimasto invariato: la massoneria calabrese era infiltrata e lo sapeva. C’è, però, qualcosa in più. Non aveva intenzione di fare «nulla» per liberarsi dall’abbraccio mortale con le cosche.

GLI INCONTRI SEGRETI CON CORDOVA «Vedo oggi ripresentarsi le stesse condizioni del 1992 quasi fosse una fotocopia». Di Bernardo ricorda la richiesta di Cordova «di avere gli elenchi di tutti i massoni calabresi» e la sua decisione di fornirli. Proprio tutti?, chiese il segretario del Grande oriente d’Italia. Oggi l’ex gran maestro ricorda il ragionamento che fece all’epoca: «Bisogna dare l’elenco completo di tutti i massoni calabresi, perché io spero che la magistratura attraverso le sue inchieste possa far emergere coloro che si sono annidati nel Grande Oriente d’Italia e che invece dovrebbero stare fuori». È il primo step: il secondo avviene a Villa Medici, sede della massoneria del Grande Oriente, dove un altro sostituto procuratore mette sotto sequestro tutti gli elenchi italiani. Da quel momento in poi «cominciarono quegli incontri segreti tra me come gran maestro e il procuratore Cordova. Quando lo vidi la prima volta gli feci una domanda precisa: “Mi vuole spiegare per quale motivo lei vuole gli elenchi di tutti i massoni d’Italia?”. La sua risposta fu semplice: “Dalle nostre verifiche è emerso che i massoni della Calabria hanno connessione con massoni del nord Italia e formulò l’intuizione e l’ipotesi che la ’ndrangheta stesse occupando le regioni del nord servendosi anche della massoneria”. Quella che allora era un’intuizione di Cordova a distanza di venti anni è una realtà».

GUERRA FRATRICIDA «Quegli incontri segreti» sono anche la fine della storia di Di Bernardo nel Goi. Perché «il procuratore Cordova mi ha dato prove inconfutabili non solo circa il coinvolgimento di taluni massoni, ma anche su un fenomeno che mi sembrò molto strano. Mi mostrò, infatti, un pacco di fogli protocollo che contenevano accuse di massoni contro altri massoni, cioè di massoni che si servivano della magistratura per far fuori altri massoni. Ne ho lette quattro o cinque di queste cose ed era qualcosa di raccapricciante, non osavo credere che massoni che erano nella mia obbedienza, che collaboravano con me si facessero promotori di questa guerra fratricida». Per il gran maestro arriva il momento di lasciare. Ma già prima aveva fatto altre scoperte inquietanti. È in questa fase del colloquio con la commissione presieduta da Rosy Bindi che il nome di Loizzo ritorna.

LA RESA IN CALABRIA «A quel tempo (il racconto abbraccia i mesi dell’inchiesta Cordova, ndr) – spiega Di Bernardo – Loizzo era mio gran maestro aggiunto. Il gran maestro aveva due gran maestri aggiunti, uno era Ettore Loizzo e l’altro era Eraldo Ghinoi. Ettore Loizzo, una persona corretta e onesta, che teneva veramente alla massoneria, era il numero uno della massoneria calabrese anche per la sua attività. Per tutto ciò che aveva fatto in massoneria e io ne avevo grande stima. In quella riunione di giunta, Ettore Loizzo non era solo, c’erano  anche gli altri vertici calabresi. Io li avevo convocati perché volevo sapere se le accuse di Agostino Cordova corrispondessero a realtà oppure no, quello per me era fondamentale. Al termine di questa riunione Ettore Loizzo, con l’assenso degli altri calabresi, confermò questi miei dubbi». Queste parole Di Bernardo le ha già messe a verbale nell’interrogatorio reso ai magistrati dell’antimafia reggina. Loizzo gli avrebbe rivelato che in Calabria su 32 logge 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta «e che non poteva fare nulla, perché altrimenti lui e la sua famiglia rischiavano gravi rappresaglie». È l’epilogo. Condensato in una conversazione. Di Bernardo chiede a Loizzo: «Ma come avete potuto?». E lui risponde: «Noi non abbiamo potuto farci nulla, abbiamo dovuto subire questa situazione». «Adesso cosa pensate di fare?», chiede il gran maestro. «Nulla», risponde il suo “vice”.

LE MINACCE È a questo punto che Di Bernardo lascia e fonda una nuova obbedienza massonica. Ma nessuno lo segue. Neanche Loizzo. «Ettore si trovava in una situazione molto difficile – spiega ancora Di Bernardo –. L’ho compreso perché seguire me significava fare quello che sono stato costretto a fare: una guerra totale al Grande Oriente d’Italia, non perché io volessi attaccare, ma perché dovevo difendermi. Le spiego cosa voglio dire. Io scrissi una lettera alla comunione, in cui spiegavo queste ragioni. Quella lettera non è mai stata spedita, per cui tutti i fratelli all’obbedienza non hanno mai saputo le ragioni per cui io sono andato via, tranne quelle che leggevano sui giornali. Questa è stata una mossa tattica importante, perché non conoscendo le ragioni, su di me è stato detto tutto e il contrario di tutto. Sono stato praticamente crocefisso, i miei ritratti sono stati bruciati nel tempio per simulare il traditore che va al rogo, ho ricevuto minacce contro me e la mia famiglia inimmaginabili. Ma io sono andato avanti».

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