“Compare Mico” ha 28 anni e una condanna per omicidio, la sua famiglia vanta solide tradizioni di omertà e “rispetto” ma nonostante questo lo scorso anno il giovane ha deciso di collaborare con la giustizia.
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È diventato teste d’accusa nel processo istruito a Milano contro il presunto esecutore dell’assassinio del procuratore di Torino, Bruno Caccia, avvenuto a Torino nel giugno del 1983.
“Compare Mico” conosce molto bene i segreti rapporti di famiglia e tra i vari clan operanti nella Penisola e gli affari che hanno sviluppato in giro per il mondo. Quello che ha lasciato impressionati riguarda le sue prime pubbliche deposizioni dove accusa il padre, gli zii e il sistema pseudo-valoriale nel quale è cresciuto.
“Per loro la ’ndrangheta è vita” dice in aula “sono loro che mi hanno educato a quel tipo di mentalità inculcandomi i loro voleri. Voleri ripeto non valori”. E ancora: “Ho la sfortuna di non aver scelto il mio destino. Sono nato in una famiglia in cui non c’è una persona – ma dico non una di numero – che da bambino avrebbe potuto portarmi via da quell’ambiente”. E spiega: “Mio bisnonno ha fondato insieme ad altri il locale di Platì. Mio nonno invece è stato responsabile del Piemonte e ha preso il posto di Domenico Belfiore”
“Compare Mico” accusa poi il padre, Saverio, di gravissimi delitti. “Non posso fare nomi perché ci sono indagini a Torino ma ho già riferito che mio padre ha commesso due omicidi”
È la prima volta che un giovane e importante esponente della mafia calabrese rende dichiarazioni contro suoi stretti congiunti. Agresta non è uno qualsiasi: la sua famiglia è imparentata con diversi esponenti mafiosi. La mamma è sorella di uno dei più grandi broker calabresi della droga, scomparso nel 2002 per lupara bianca.