Mer. Apr 24th, 2024

Carissimi fratelli e sorelle,

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Cari confratelli nel sacerdozio,

Illustri Autorità,

è con sentimenti di gratitudine al Signore che partecipiamo a questa Celebrazione Eucaristica. Più che con lo sguardo rivolto al passato dopo questi tre anni di servizio episcopale, desidero vivere questo momento pensando con fiducia al futuro della nostra chiesa. L’ordinazione sacerdotale di Antonio, Gianluca e Lorenzo ci riempie di gioia e ci fa guardare in avanti con grande speranza. Quella speranza che viene dall’atto di affidamento della loro vita nella mani di Dio. Un Dio che continua ad avere fiducia in noi e a chiedere la nostra collaborazione. Per tutti il Signore ha un disegno di amore, che dà senso e valore alla vita di ognuno. Con la chiamata di Antonio, di Gianluca e di Lorenzo ha assecondato le preghiere della nostra Chiesa, guardando con particolare predilezione le tre comunità parrocchiali di San Nicola di Roccella Jonica, di S. Basilio Magno di Placanica e di S. Giuseppe Lavoratore di Monasterace. E’ in esse che è maturata la loro vocazione sacerdotale. Ma la prima culla è stata la loro famiglia, che ha saputo accogliere e custodire il dono della vocazione. Un grazie speciale voglio esprimere ai Vescovi che mi hanno preceduto, ai sacerdoti che ne hanno accompagnato il cammino formativo, ai Rettori e agli educatori e formatori dei seminari maggiori di Catanzaro e di Reggio Calabria. Ma guardo e considero con particolare simpatia quei sacerdoti (e ce ne sono tanti) che mostrano sensibilità e attenzione alle vocazioni sacerdotali e religiose. So che attraverso il sacerdote che vive con gioia il proprio sacerdozio il Signore continua a suscitare nuove vocazioni. Quanto mi piacerebbe che ogni sacerdote si facesse accompagnatore spirituale dei giovani che mostrano segni di vocazione!

Il testo del profeta Geremia ci mostra che, quando il Signore chiama, non si può resistere. Al profeta il Signore fa sentire il suo invito: “Non dire: sono giovane”, “non aver paura, perché io sono con te per proteggerti”. E mostra la sua presenza rassicurante: “Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca”. A Geremia Dio conferisce il potere di «sradicare e demolire, distruggere e abbattere, edificare e piantare» (Ger 1,10). Lo stesso avviene anche per voi, carissimi Antonio, Gianluca e Lorenzo. Diventare annunciatori del Vangelo è “portare la forza di Dio per sradicare e demolire il male e la violenza; per distruggere e abbattere le barriere dell’egoismo, dell’intolleranza e dell’odio; per edificare un mondo nuovo” (papa Francesco). Siate entusiasti di questa missione che il Signore vi affida. E tutto quello che farete, fatelo con amore per il bene del nostro popolo e di questa terra troppo maltrattata. Il Signore conta molto su di voi! Altrimenti non vi avrebbe chiamati a giocarvi tutta la vita. Anche la nostra Chiesa conta su di voi! Voi siete chiamati a questa missione non da navigatori solitari, ma da membri di un presbiterio diocesano. Lo stesso che qui oggi vi fa corona, prega per voi e vi imporrà le mani. Sarete presbiteri grazie allo Spirito che verrà infuso in voi da queste mani. Non dimenticatelo mai. Soprattutto quando la tentazione di chiudersi o di isolarsi, pensando di poter fare bene da soli, si farà sentire con più irruenza.

A Voi tutti, cari confratelli nel sacerdozio, vorrei dire in questo momento così solenne: “Fate spazio a questi tre nuovi sacerdoti mandati dal Signore per dare alla nostra Chiesa più freschezza e giovanile entusiasmo. Accoglieteli con spirito fraterno. Essi sono il volto giovane di questo presbiterio, che si rinnova e che da oggi può guardare con più fiducia al domani”.

Vorrei ricordare l’invito che Gesù ci ha rivolto nel breve ma intenso brano del Vangelo: “Venite a me” (Mt 11,28). Un invito rivolto a tutti, ed oggi più direttamente a te Antonio, a te Gianluca, a te Lorenzo. Il Signore vi ha chiamati dall’eternità ad essere “pastori e maestri”, per “edificare il Corpo di Cristo” e vi ha messo in cammino verso “la misura della pienezza di Cristo”. Fate vostra l’esortazione a “comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto”. Vivete secondo lo stile di Cristo, che è fatto di “umiltà, dolcezza e magnanimità”, ma anche di reciproca sopportazione. E’ tanto vero che nel presbiterio diocesano tutto diventa più difficile, se manca la reciproca comprensione ed accoglienza. Né è possibile vivere la bellezza del ministero sacerdotale senza la disponibilità a perdonarsi e ad operare in spirito di collaborazione con rispetto per la dignità di ciascuno.

Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”. Gesù chiama tutti coloro che sono stanchi ed oppressi. E chi non lo è dopo la fatica ed il lavoro di un anno pastorale? Chi non avverte il peso dalla vita o momenti di stanchezza? Questi momenti ci sono sempre. Ci sono nella vita delle famiglie, nel ministero dei sacerdoti, come anche nel mio. C’è la stanchezza che proviene dalle delusioni e dalle difficoltà della vita, dallo stare e dal lavorare insieme, ma anche dalle umiliazioni, dai torti e dalle offese ricevute.

Venite a me”: quanto è incoraggiante questo invito! Gesù non vuole camminare da solo, non gradisce né la solitudine né la freddezza dei rapporti, e neppure l’indifferenza. Soffre quando restiamo sui nostri passi, adagiati in un immobilismo che fa ristagnare l’azione pastorale. C’incoraggia ad andare avanti, a metterci in moto, a non essere vittime della frustrazione. Quanto è deleterio cedere alle continue lamentele, che fanno vedere solo l’altrui male o pensare che sono gli altri a sbagliare, che i fedeli non ascoltano, che il mondo va alla deriva. Rompere con questi schemi e presentimenti aiuta a rifugiarci nel Signore, che ci vuole gioiosi e tenaci. La via da seguire è restare uniti a Cristo nell’esercizio del ministero sacerdotale. Solo così non saremo “pastori con la faccia acida, lamentosi, né, ciò che è peggio, pastori annoiati” (papà Francesco).

Perché rispondere alla chiamata del Signore ad andare a Lui e a stare con lui? Quale vantaggio ne avremo? La risposta ci viene da Gesù: “Io vi darò ristoro”….troverete ristoro per la vostra vita» (v. 29). Egli lo ripete più volte. Quale sarà il nostro ristoro? Le gratificazioni umane? Non c’è da cercarne. La sicurezza economica? Non è per questo che siamo sacerdoti. L’acclamazione della gente? Non è ciò che il Signore ha cercato. Tutto è bello e diventa “ristoro” nella vita del sacerdote, se non ci si volta indietro, se si dona con gioia, se si ama disinteressatamente chiunque il Signore mette sul proprio cammino. Nessun sacerdote deve cercare il ristoro di Gesù solo per sé: una volta ricevutolo, deve parteciparlo ai fratelli. Sempre con atteggiamento mite e umile. Con quella mitezza ed umiltà che aiutano a non pesare su nessuno con le proprie vedute personali, con i propri giudizi o critiche o con la propria indifferenza.

Prendete il mio giogo”… Gesù non intende mettere sulle nostre spalle norme e prescrizioni che rendono difficile la vita: chiama a diventare suoi discepoli. “Il giogo” di cui parla è il legame con la sua persona. Esso consiste nel seguirlo sulle strade dell’amore compassionevole e misericordioso verso il prossimo. Accettando Gesù, entriamo in comunione e partecipiamo del mistero della sua croce e del sua via di salvezza. Aderendo a Lui, possiamo inserirci in quel percorso di vita che unisce a Dio e alla sua volontà. Gesù dev’essere sempre il “fulcro della vita di ciascuno”. E’ l’unica cosa che deve contare: solo il rapporto con Lui rende possibile ed entusiasmante il ministero del sacerdote. Il sacerdozio come sequela di Gesù non è un peso. Lo diventa per chi crede di fare a meno di Lui. Sottrarsi a questa dinamica porterebbe ad essere semplici operatori del sacro, impiegati part-time nei vari servizi religiosi richiesti.

Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore”. Gesù è il vero modello di tutti noi sacerdoti. Egli ci prospetta un cammino di conoscenza e di imitazione. Non vuole dottori e maestri di una morale astratta da imporre agli altri. Chi segue Lui è chiamato ad essere alter Christus, il mite ed umile di cuore nella vita e nelle relazioni con tutti. E’ questo che ci chiede: vivere la mitezza non arrendevole di fronte alle situazioni di disagio; accogliere il grido di aiuto della nostra terra, ma anche combattere le ingiustizie e le umiliazioni alle quali troppo spesso è sottomessa. Gesù ha saputo neutralizzare il male. Dovremo imparare da Lui a neutralizzare il male, presente nella nostra terra ed a reagire di fronte al malaffare e alla criminalità. Lo esige il bene della nostra gente, che non accetta di essere vessata dall’arroganza e dai comportamenti violenti. Non rassegniamoci di fronte alla prepotenza e a chi fa del malaffare e della raccomandazione il proprio stile, a chi promette lavoro, togliendo dignità e libertà.

La quotidiana vicinanza con Gesù è il segreto di riuscita del sacerdote. La relazione con Lui ci porta a lavorare nella sua vigna. La disoccupazione, che purtroppo è un grave problema per tanti giovani, non tocca il ministero del sacerdote. Il Signore non vede bene sul suo cammino sacerdoti disoccupati ed oziosi. San Gregorio Magno spiega che “lavorano per il Signore coloro che pensano non agli interessi propri, ma a quelli del Signore, che si applicano con zelo alla carità e s’impegnano nella pietà, si danno da fare per guadagnare anime, si sforzano di condurre altri con sé alla vita. Chi invece vive solo per sé, contentandosi dei piaceri della carne, giustamente viene rimproverato come ozioso, perché non cerca di portare frutto operando per Dio”.

Ma nessun sacerdote opera bene se non si lascia guidare da un grande amore per il Signore. Lo stesso amore che il Risorto chiese a Simone: “Simone di Giovanni, mi ami?” (Gv 21,15). Domanda fondamentale per tutti, ma anche per te, Gianluca, Antonio e Lorenzo. È una domanda che deve risuonare in noi quotidianamente, non una volta per sempre, fosse pure il giorno dell’ordinazione.

Desidero condividere con voi questa mia preghiera di ringraziamento:

 

Grazie, Signore, per il dono del servizio in questa terra che scopro giorno dopo giorno sempre interessante e bella. Grazie per i volti che mi hai fatto incontrare, fedeli ferventi che gremiscono le nostre belle chiese. Grazie per le fatiche che mi hai regalato, per i sacerdoti che mi hai posto accanto come primi fedeli cooperatori. Grazie per gli uomini e donne che cercano Dio oltre la soglia delle nostre chiese in attesa di incontrare la luce. Grazie per le testimonianze belle che mi hanno reso quanti hanno abbracciato la loro sofferenza con dignità e fermezza nella fede, la testimonianza degli ammalati dell’ospedale qui vicino e dei medici ed infermieri che in condizioni spesso di gravissimo disagio, superando ogni stanchezza, portano avanti il loro servizio con impegno e fedeltà. Grazie per i fratelli ospiti della vicina casa circondariale di Locri e che mi hanno mostrato attenzione ed affetto, ma grazie anche per quanti sono a loro servizio.

Grazie, Signore, di avermi messo davanti i miei errori e le mie povertà. Grazie per tutte le volte che mi hai fatto scoprire che dovevo amare di più e giudicare di meno, che dovevo guardare di più gli altri e meno me stesso. Grazie, perchè sempre mi hai rialzato, quando sono caduto ed hai  accresciuto la consapevolezza dei miei limiti. Grazie, per quanto non ho fatto ed hai fatto Tu al mio posto, per il tuo amore in tutte le ore, lungo ogni sentiero dove mi hai condotto. Ed io ho sentito che Tu mi eri vicino. Eri lì dove non pensavo. Ho sentito la tua voce quando intorno il deserto mi portava a temere. Quando la mia voce, la nostra voce, la voce della chiesa non arrivava alle periferie e attorno prevalevano progetti di male, di odio e di morte, quando il grido del povero non trovava ascolto ed i miei percorsi non erano i tuoi.

A te offro, Signore, i giorni e le ore, le ansie e le fatiche mie e dei confratelli, che nel silenzio affrontano le difficoltà e le povertà umane di fronte ad una missione spesso troppo impegnativa. Mi hai fatto sentire la tua voce, come hai fatto con Geremia: “Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai quello che io ti ordinerò. Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti. Ti dò autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare”. Fa’, o Signore, ch’io sia – con tutti coloro che hai scelto come tuoi sacerdoti – strumento nelle tue mani “per edificare e piantare”, ma anche per alleviare la sofferenza del popolo che mi hai affidato e portare gioia e speranza. A te Signore affido Antonio, Gianluca e Lorenzo, che mettono nelle tue mani la loro vita. Rendila un’offerta a Te gradita. Dona loro di esprimersi con umiltà, con fedeltà e coerenza, per essere strumenti gioiosi nelle tue mani, senza mai risparmiarsi per il bene dei fratelli.

Maria, la madre di Gesù e nostra, diventi compagna di viaggio e nostra guida. Amen!

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