Gio. Apr 18th, 2024

Il “licenziamento” di Marcianò è arrivato mentre i vertici dem cercavano una delicata mediazione. Ed è stato preso come una sfida. Tutti i paradossi di un caso che rischia di avere pesanti ripercussioni sul Pd reggino: «Se vuole continuare a chiamarsi Pd…»

Continua dopo la pubblicità...


IonicaClima
amaCalabria
Calura
MCDONALDAPP
InnovusTelemia
stylearredamentiNEW
E120917A-0A80-457A-9EEE-035CEFEE319A
FEDERICOPUBB
CompagniaDellaBellezza00
previous arrow
next arrow

Che il (fino a ieri) potenziale “licenziamento” di Angela Marcianò potesse diventare un caso nazionale lo avevano capito tutti. Tranne, evidentemente, il sindaco di Reggio Calabria. Il cui intervento a gamba tesa (e a mezzo stampa) tra venerdì e sabato ha avuto tre effetti immediati.
Primo: in segreteria nazionale non l’hanno presa bene. Meglio: si sono infuriati. Non tradiscano i toni felpati con i quali Lorenzo Guerini ha commentato il caso; a Roma gli animi si sono surriscaldati. E qui arriva il secondo effetto: a Ernesto Magorno, che si trovava nella Capitale per motivi familiari, è stato chiesto di rientrare precipitosamente in Calabria per tentare una mediazione degna di mission impossible. Terzo: dalla segreteria nazionale hanno cercato un collegamento diretto con l’assessore defenestrata; e non soltanto per offrire una solidarietà scontata. Già, perché adesso toccherà mettere insieme tutti i paradossi, innanzitutto quello di un sindaco di marca Pd che revoca le deleghe a un’esponente della sua segreteria nazionale. E oltretutto tirando in ballo proprio la nomina in segreteria in più interventi, interviste, frecciatine. Come si spiega che per Renzi l’ingresso di Marcianò in segreteria sia motivo di vanto se quella stessa chiamata causa un terremoto a Reggio Calabria? Non si spiega. E come si spiega che a dare la stura all’intervento risolutivo del sindaco sia stato proprio il Partito democratico reggino? Non si spiega neppure questo. E nella complicata mattinata di sabato, quando gli umori romani erano più che neri, qualcuno si chiedeva proprio «se il Pd in riva allo Stretto vuole ancora continuare a chiamarsi Pd…».
L’accelerazione del sindaco è stata vista come uno sgarbo, o peggio come una sfida, al Nazareno. E non sarebbe la prima: perché la sfuriata di Falcomatà (una critica a tutto campo delle politiche di Renzi) nell’ultima direzione nazionale non è stata dimenticata dai vertici dem. Ma questa volta è peggio, perché proprio mentre Guerini&co lavoravano per una mediazione – per quanto complicata – si è deciso per uno strappo che non pare più sanabile. Roma avrebbe voluto congelare la “sfida” reggina, aprire una discussione e appianare le divergenze: il primo cittadino ha fatto di testa sua e ha «piena responsabilità delle decisioni che assume», per citare ancora Guerini. Traduciamo dal politichese, ché aiuta: «Da questo momento in poi il sindaco farà il sindaco. E il partito farà il partito. Falcomatà ci impedisce di essere neutrali quando manda via un assessore perché sarebbe venuto meno il rapporto di fiducia con il primo cittadino e tira in ballo proprio la nomina in segreteria». D’altra parte il tira e molla delle ultime settimane nasce proprio da quella promozione e viene condito – in maniera imbarazzante – con le tante assenze di Marcianò in giunta: peccato che l’assessore sia all’ottavo mese di gravidanza. Nessuna reprimenda credibile è arrivata sul mancato raggiungimento degli obiettivi affidati alla titolare della delega ai Lavori pubblici e alla Trasparenza. Anzi – ed è questa la parte della storia che ha fatto infuriare il Nazareno – proprio per gli obiettivi raggiunti sulla trasparenza nella macchina amministrativa di Reggio Calabria, Marcianò è stata chiamata a far parte della squadra che governa le scelte strategiche del Partito democratico. Apprezzata da Renzi, malvista dal Pd reggino. Ammesso che si possa sempre chiamare Pd.

Print Friendly, PDF & Email

Di