Gio. Apr 25th, 2024

Il 25 ottobre sarà il quinto anniversario dell’omicidio di Filippo Ceravolo, innocente ucciso per errore a 19 anni dai pallettoni della ‘ndrangheta. A Soriano, nelle Preserre vibonesi, i suoi familiari continuano a chiedere giustizia.

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«Qua moriamo tutti, mamma». Giusy aveva solo otto anni quando la sua vita, in una sera d’ottobre, è cambiata all’improvviso. Lei era in auto con sua madre, Anna, che poco prima aveva ricevuto una telefonata allarmante. Dall’altro capo del telefono la voce di papà Martino era confusa, agitata, quasi spezzata dal pianto. Cosa fosse successo non era ancora chiaro, ma Anna aveva comunque intuito che fosse capitato qualcosa di brutto a suo figlio Filippo. Così lei e la piccola Giusy si erano precipitate in ospedale, ma nella concitazione del tragitto una manovra un po’ azzardata aveva fatto sbandare l’auto su cui viaggiavano. Allora Giusy si è spaventata e ha detto quella frase che lasciava intendere che qualcuno della famiglia fosse morto. E che lei nonostante i suoi otto anni avesse già capito tutto. Poco dopo, dai sedili posteriori in cui si era rannicchiata, ha visto il suo fratellone portato giù dall’ambulanza, esanime, su una barella. È allora che nella sua vita fino a quel momento spensierata, come dovrebbe essere per ogni bambina della sua età, sono entrati con forza il dolore, la violenza, la mancanza.

Sono passati cinque anni da quella sera. Era il 25 ottobre 2012 e l’asfalto della strada che collega Pizzoni a Soriano si era macchiato del sangue di un 19enne che con la feroce faida delle Preserre vibonesi non c’entrava niente. Filippo Ceravolo aveva solo chiesto un passaggio a un conoscente, doveva tornare a casa dopo essere stato a Vazzano dalla sua fidanzata. Ma quel conoscente era nel mirino dei sicari del clan Loielo, da anni contrapposto alla cosca Emanuele in una cruenta (e infinita) guerra di ‘ndrangheta che non ha risparmiato nemmeno gli innocenti. Proprio come Filippo, che ha lasciato la sua giovinezza sul sedile del passeggero di una Fiat Punto, colpito a fucilate alla testa, al volto e alla spalla sinistra.

Oggi Giusy ha 13 anni e si affaccia all’adolescenza con sulle spalle un carico pesante, troppo pesante per la sua età. Dorme nella cameretta che fu di Filippo, dove sua madre continua a tenere i cassetti pieni e in ordine come se suo fratello fosse ancora lì, solo momentaneamente assente per qualche impegno lontano da Soriano. Come lei, tutta la sua famiglia vive un dolore quotidiano che non conoscerà mai fine. Martino lo ammette con disarmante semplicità mentre fuma una sigaretta dietro l’altra. «Avevo smesso – confida il papà di Filippo – ma da quando è successo quello che non doveva succedere ho ripreso, e soprattutto mentre parlo di mio figlio non riesco a trattenermi». Sua moglie, più introversa, reagisce diversamente: è raro, per esempio, che riesca ad andare al cimitero sulla tomba del figlio. Lui invece sembra un vulcano costantemente in procinto di eruttare, e si capisce che non si ferma mai proprio per non concedere spazio alla disperazione.

«Non si archiviano gli angeli», afferma Martino riferendosi all’inchiesta sull’omicidio del figlio, che è stata archiviata senza che si individuassero gli autori di quel delitto odioso. Su quelle carte sono al lavoro gli avvocati della famiglia Ceravolo, intanto questo padre coraggio si è incatenato davanti alla sede della Dda di Catanzaro, è anche riuscito a parlare con il ministro Andrea Orlando, ma finora non è arrivata nessuna risposta concreta. «Continuo ad avere fiducia nella Giustizia, se sarà necessario andrò fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma sono anche pronto a darmi fuoco in qualsiasi momento: niente e nessuno – spiega – mi ridarà il mio Filippo, ma almeno devono darci giustizia, chi ha ucciso un innocente di 19 anni non può continuare a rimanere impunito. E non possiamo essere io e la mia famiglia a vivere nella paura che qualcuno ci faccia del male solo perché pretendiamo risposte dallo Stato».

Filippo è stato riconosciuto vittima di mafia già da qualche anno, ma per i Ceravolo non è stata prevista alcuna forma di tutela. Nonostante tempo fa qualcuno non si sia fatto scrupoli a minacciare Martino dicendogli che prima o poi avrebbe pagato caro quel suo atteggiamento, quella sua ostinazione a chiamare le cose col loro nome. «Questa storia – dice sconsolato mentre bacia la lapide del figlio – non finirà mai. Continuano imperterriti a sparare in pieno giorno, a mettere bombe. Secondo me purtroppo ci saranno altre vittime».

La comunità di Soriano però gli è stata vicina: il Comune ha dedicato a Filippo un monumento nel centro del paese, la locale squadra di calcio, che milita in Eccellenza, non si è mai dimenticata di quel 19enne che giocava nelle giovanili e gli ha dedicato uno striscione e una maglia. Ma certi sguardi, certi atteggiamenti prevaricatori, continuano ad affiorare, e a fare male, nella vita di tutti i giorni. Un’esistenza che va avanti perché così deve essere. «Ma non è vita questa – ammette Anna – noi sopravviviamo».

Stare assieme a loro, ascoltarne le parole per qualche ora, per una mattinata, può far intravedere solo una parte infinitesimale di ciò che provano da quella sera di ottobre. Ma nonostante tutto continuano a vivere e lottare: per cinque giorni a settimana sono in giro per fiere e mercati a vendere dolciumi e prodotti tipici di Soriano. Un lavoro onesto e dignitoso a cui aveva cominciato a dedicarsi anche Filippo. Fino a quando i pallettoni della ‘ndrangheta non l’hanno strappato alla vita, cambiando per sempre l’esistenza della piccola Giusy e dei suoi genitori, al tempo stesso eroi e vittime di una follia di fronte a cui in troppi sembrano rimanere indifferenti.

(fonte l’altrocorriere)

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