Gio. Apr 18th, 2024

I documenti raccolti dalla Guardia di finanza confermano le denunce di alcuni Gran Maestri fuoriusciti dal Goi. Scelte amministrative strategiche dettate dalla comune appartenenza alle logge. E i “fratelli” in Calabria sono dappertutto: specialmente nella sanità

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Nell’informativa redatta dalla Guardia di finanza, che accompagna la consegna alla Commissione parlamentare antimafia degli elenchi di esponenti della massoneria in odor di ‘ndrangheta (ve ne abbiamo parlato qui) ovvero, già oggetto di indagini e condanne per associazione mafiosa, ci sarebbero le risposte, e i riscontri positivi, rispetto a molte devastanti situazioni sollevate, in sede di audizione, dai magistrati delle procure distrettuali di Catanzaro e Reggio Calabria, nonché alle dichiarazioni rese da Amerigo Minnicelli, maestro venerabile emerito della loggia Luigi Minnicelli, numero 972 di Rossano del Grande Oriente d’Italia-Palazzo Giustiniani. Dichiarazioni attraverso le quali il Minnicelli ha ricostruito le ragioni, a suo dire «vere e inconfessabili», che hanno portato alla sua espulsione dal Grande Oriente d’Italia e gli elementi da lui raccolti in ordine ai rapporti tra ‘ndrangheta e massoneria. Rapporti che avrebbero avuto come risultato non solo il condizionamento di molte logge ma anche la possibilità di incidere pesantemente nelle scelte sui vertici nazionali del Goi.
In gran parte i contenuti di queste audizioni sono state secretate con provvedimento della presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi, tuttavia già all’indomani delle loro audizioni è emerso che in diverse indagini i magistrati della Procura distrettuale di Reggio Calabria hanno rilevato preoccupanti “sinergie” tra cosche e logge massoniche, laddove proprio tramite la comune appartenenza alla stessa loggia di capi della ‘ndrangheta e “venerabili” della massoneria, operavano un totale controllo del territorio non solo in chiave criminale ma anche burocratico-amministrativa. Un controllo del territorio così penetrante da apparire come neanche pensabile senza il supporto di una “rete segreta”, composta da avvocati, professionisti, amministratori locali, appartenenti alle forze dell’ordine e ai servizi segreti, magistrati.
La massoneria consentirebbe, in sostanza, un costante raccordo tra ‘ndrangheta, politica e burocrazia, vigilando sugli accordi raggiunti e tutelando soggetti “invisibili”, che cioè debbono rimanere “coperti” per svolgere il proprio ruolo: ed è per questo che risulta spesso molto difficile, anche ricorrendo ai collaboratori di giustizia, avere notizie su di essi. Inoltre proprio la ’ndrangheta ha provveduto, ormai da molti anni a inserire numerosi rappresentanti delle cosche, anch’essi in modo “riservato”, all’interno della massoneria per sfruttarne la capacità di influenza sulle istituzioni e sulla società civile.
Una evoluzione, questa del rapporto tra ‘ndrangheta e massoneria deviata che, per il procuratore distrettuale di Catanzaro Nicola Gratteri, in sede di audizione davanti alla Commissione antimafia, avrebbe avuto inizio già nel 1970, con la costituzione della “santa” a opera di una nuova generazione di ‘ndranghetisti: lo scopo è quello di far fare un salto di qualità all’organizzazione, permettendole di assumere potere decisionale della gestione della cosa pubblica. «Entrare nella massoneria deviata – ha sottolineato Gratteri nella parte non secretata della sua audizione – vuol dire stabilire relazioni importanti con quadri della pubblica amministrazione, medici, ingegneri, avvocati, magistrati, altri professionisti: con la “santa” è stata regolamentata la possibilità di avere una doppia affiliazione».
Gratteri ha anche riferito delle indagini svolte, e in corso di svolgimento, confermando che si era riscontrato anche lo scioglimento di alcune logge. Forniva però alla Commissione una chiave di lettura decisamente diversa da quella che fonti massoniche avevano tentato di veicolare. Secondo le indagini della Dda di Catanzaro, infatti, in molti casi dietro la chiusura di una loggia o l’allontanamento di alcuni “venerabili” c’era la necessità di prendere le distanze e mettere in sicurezza il “sistema” davanti alla gravità degli errori ad esse addebitati dal tribunale interno.
Dai dati raccolti dopo il sequestro degli elenchi, tuttavia, emergerebbe non solo il quadro di una massoneria deviata ma anche la conferma che attraverso l’attività di alcune logge si esercita un diretto controllo sia sulla politica che sulle scelte della pubblica amministrazione. In buona sostanza emergerebbe il tramonto della “terzietà” della pubblica amministrazione, laddove le scelte più importanti recano l’imprimatur della comune militanza massonica.
Tra gli affiliati calabresi alla massoneria, ad esempio risulterebbe altissimo il numero dei burocrati e dei dirigenti apicali di quasi tutte le pubbliche amministrazioni calabresi, con particolare riferimento alla Regione Calabria e alla gestione del sistema sanitario. Non è materia direttamente riconducibile alle competenze della Commissione antimafia, tuttavia il dato emerge ed è cristallizzato negli accertamenti fin qui svolti. Quel che appare difficile decifrare, invece, è la triangolazione tra massoneria deviata, ‘ndrangheta e pubblica amministrazione. In molti casi a segnare il percorso sono i desiderata dei boss; in altri, invece, è un dedalo di interessi che mirano ad un controllo delle attività della pubblica amministrazione, attraverso il collocamento nei gangli vitali della burocrazia di “fratelli” pronti all’obbedienza. Con buona pace del “consenso popolare”.

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