Ven. Mar 29th, 2024

Il dietrofront del governatore. Che dall’incatenamento è passato alle «azioni forti». Con l’aiuto di pochi sindaci. La battaglia per la sanità fa emergere le lacerazioni di una maggioranza che non fa più quadrato attorno al suo capo

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«Statene certi, Oliverio si incatenerà, perché il governo del Paese, che è il mio governo, deve capire che in Calabria non si può andare avanti con questa situazione». Sono passate solo due settimane da quando il governatore, parlando di sé in terza persona, pronunciava queste parole in consiglio regionale. Oggi, davanti alla piccola rappresentanza dell’assemblea dei sindaci (erano meno di un centinaio su un totale di 409) convocata alla Cittadella regionale sembra essere cambiato tutto. E se prima il mantra era «se non ci saranno risposte, mi incatenerò», adesso la protesta diventa meno violenta, anzi, per niente: «Tornerò all’assemblea dei sindaci e illustrerò loro la mia volontà di mettere in atto azioni forti». Ecco, «azioni forti». Niente più catene, dunque, niente più manifestazioni plateali contro un governo che è «il mio governo». La realtà è che Oliverio è solo. La verità è che si è reso conto di aver forzato la mano e di essersi messo a capo di un corteo senza popolo. E adesso la sua unica via d’uscita è quella di prendere tempo, di usare con maestria la possibile moratoria che seguirà all’incontro di martedì con il ministro Lorenzin. Che non sembra niente affatto intenzionata a nominare il governatore al vertice della sanità, ma che certo non mancherà di fornire un passepartout di qualche tipo (la nomina di un altro commissario al posto di Scura, ad esempio) per consentire a Oliverio di salvare almeno la faccia. Insomma, è stato tutto uno scherzo.
Uno scherzo amaro, in fondo, perché l’affaire sanità ha permesso a Oliverio di capire che la sua maggioranza non ha più intenzione di fare quadrato intorno a lui. Indicativa, in tal senso, è la mancata presa di posizione del consiglio regionale. Lo stesso giorno in cui il governatore ribadiva la sua volontà di incatenarsi, i capigruppo del centrosinistra, in accordo con molti esponenti del centrodestra, avevano stabilito di discutere la questione nel corso di una seduta ad hoc, da convocare prima dell’incatenamento (solo annunciato, a questo punto) del presidente, e al fine di approvare un documento unitario. Una sorta di “lettera” al governo con cui i consiglieri avrebbero comunicato la loro volontà al governo. Cioè: stiamo dalla parte del governatore. Quel Consiglio “monotematico”, tuttavia, non è mai stato calendarizzato. Per un motivo: non tutti i consiglieri di maggioranza condividono le posizioni del governatore né vedono di buon occhio la sua nomina a commissario. Per un altro motivo, in particolare: Oliverio, che già è a capo di una giunta tecnica estranea all’assemblea calabrese, con la designazione a commissario diventerebbe un sultano dai poteri (economici e politici) sostanzialmente illimitati. E questo molti maggiorenti del Pd non sono disposti a concederlo, soprattutto alla vigilia di una campagna elettorale nella quale l’area che si riconosce nel governatore potrebbe rivendicare diritti di prelazione rispetto alla composizione delle liste. Oliverio ha subito fiutato l’aria e compreso il pericolo figuraccia, da qui il suo dietrofront sul Consiglio ad hoc e la virata sul corpaccione (meglio: corpicino) dei sindaci, 50 dei quali hanno anche firmato un documento di sostegno con il quale chiedono «di mettere fine con urgenza al commissariamento e la possibilità di rinegoziare il Piano di rientro». Troppo poco per giustificare quella che Oliverio ha inteso definire, fin dal primo momento, una protesta condivisa da tutta la Calabria. Non è così, e le (non) risoluzioni del Consiglio lo dimostrano, al netto delle dichiarazioni del segretario del Pd Magorno e di altri membri dell’assemblea, tra cui Aieta, D’Agostino e Giudiceandrea.
D’altronde, l’organo che più di altri – e certo più dei Comuni – avrebbe avuto il diritto di recriminare con forza contro il commissariamento dei propri poteri è proprio l’assemblea regionale. Un Consiglio che ha preferito tacere per non mettere a nudo le lacerazioni di una maggioranza in fibrillazione. Avesse deciso di andare avanti secondo i suoi propositi iniziali, Oliverio si sarebbe trovato davanti a Palazzo Chigi in compagnia esclusiva delle sue catene.

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