Sab. Apr 20th, 2024

L’ex consigliere comunale di Reggio Calabria, all’epoca dell’arresto astro nascente della destra reggina, per gli inquirenti è al centro del sistema che ha “regalato” ai clan la grande distribuzione a Reggio e provincia. Vent’anni di carcere è la pena invocata per il suo “imprenditore di fiducia” Giuseppe Crocè

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Trent’anni per l’ex consigliere comunale Dominique Suraci, un tempo campione di preferenze a Reggio città e prima dell’arresto astro nascente della destra reggina, 20 per l’imprenditore Giuseppe Crocè. Sono pene pesantissime quelle invocate dal pm Stefano Musolino al termine della requisitoria al processo Assenzio- Sistema, scaturito dall’inchiesta che ha svelato come la grande distribuzione reggina sia stata per lungo tempo un business esclusivo dei clan.
LE RICHIESTE Fatta eccezione per l’assoluzione chiesta per Antonino Monorchio e il non luogo a procedere per la prescrizione dei reati invocato per Giuseppe Rocco Giovanni Rechichi e Costanza Ada Riggio, per tutti gli altri imputati il pm Musolino ha invocato pene severe. Tredici anni sono stati chiesti per Luciano Falcomatà 13 anni, mentre è di 8 anni la pena invocata per Marcello Brunozzi 8 anni. Per il pm invece sono tutti da condannare a 6 anni di carcere ciascuno Vincenzo Ferrigno, la compagna di Suraci, Senia Saloua, i figli di Crocè Barbara e Francesco, l’avvocato Mario Giglio, ma anche Michele Crudo, Carmine Polimeni, Domenico Polimeni, Pasquale Utano, Rodolfo Diani , Rocco De Angelis e Antonio Cotugno 6 anni. Infine 2 anni sono stati chiesti per Francesca Calafiore.
L’INCHIESTA Per il pm, sono tutti a vario titolo coinvolti nel sistema, gestito e coordinato da Suraci, accusato di associazione mafiosa, che per anni ha drogato la grande distribuzione a Reggio e provincia. Cuore dell`inchiesta è l`intricata storia del fallimento della Vally Calabria, società che a metà degli anni `90 gestiva una catena di discount tra Reggio e provincia, prima controllata da una cordata di imprenditori tra i quali Dominique Suraci e successivamente passata pressoché interamente in mano all`ex assessore che, attraverso società a lui direttamente – seppure non formalmente – riconducibili. Proprio grazie alla Vally la grande distribuzione è diventata cosa di ‘ndrangheta.
EQUA SPARTIZIONE I clan – è emerso dall’indagine – non si spartivano solo le forniture, ma erano saldamente presenti anche nel gruppo dirigente. Al riguardo, precise indicazioni – poi puntualmente confermate dalle indagini – sono state date dal pentito Paolo Iannò, che nel 2009, interrogato dai pm Marco Colamonici e Mario Andrigo, dice: «C`era Totò Ve, Totò Ventura, (..), c`erano Masi De Angelis socio, c`era un tale Cotugno in società e il professor e il dottor Giglio erano in società loro, nella società erano tutti quattro (…) poi hanno deciso di vendersele e di uscirne da questa società e li hanno venduti a un tale Surace che faceva l`autotrasportatore questo, Surace. E Surace a sua volta dietro di Surace c`era Orazio De Stefano, che è venuto un suo nipote da me, che poi era figliastro di Paolo, Caponera Paolo, per dire che c`erano loro nella società dei discount». Alla guida reale della Vally non c`era dunque solo l`ex assessore comunale – a detta del collaboratore, espressione diretta di Orazio De Stefano – ma un vero e proprio direttorio di rappresentanti diretti delle `ndrine.
LA MACCHINA ELETTORALE DI SURACI Ma per Suraci, la grande distribuzione non era solo un modo di fare affari, ma soprattutto per trasformare i rapporti con la ‘ndrangheta in sicure preferenze elettorali, che gli alle comunali del 2007 gli avrebbero permesso di stravincere con quei 1205 voti che l’hanno reso il candidato più votato della propria lista, secondo solo a Giovanni Bilardi (1524 preferenze). A portare voti al “mulino” di Suraci non sarebbero stati solo i fornitori – e le consorterie di cui sarebbero espressione – cui il politico spesso garantiva «espressamente la più sollecita evasione dei crediti vantati dalle ditte e/o società a loro riconducibili». Ma anche le società miste, come la Multiservizi, sarebbero state per Suraci un modo di convogliare quelle che la Procura definisce vere e proprie clientele, cui estorcere un voto in cambio di un’assunzione. Un ricatto subdolo che l’ex consigliere non avrebbe avuto alcuna remora a declinare anche nel mondo della formazione: stando alle risultanze dell’inchiesta gli studenti maggiorenni della scuola di cui Costanza Ada Riggio era titolare, sarebbero stati costretti a votare il futuro consigliere, pena la bocciatura. A raccontarlo – contenta – all’ex assessore è stata la stessa Riggio che – ascoltata dagli inquirenti – afferma: «(…) Sai chi mi danno i voti? Me li daranno gli alunni che devono fare esami e si spaventano che se poi io scopro che non hanno votato poi li faccio bocciare, cioè non succede però … però voglio dirti: così glielo dico, gliela metto, proprio, figlioli una mano lava l’altra».

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