Ven. Apr 19th, 2024

Una foto della madre, deceduta. Tommaso Costa, esponente di spicco dell’omonima ‘ndrina di Siderno (Reggio Calabria), la teneva con sé nella cella del carcere di Viterbo, dove è detenuto. E’ lo stesso Costa condannato, in secondo grado, all’ergastolo per aver ucciso un commerciante di trentacinque anni: Gianluca Congiusta, freddato con un colpo di lupara alla testa la sera del 24 maggio 2005 a Siderno. Gli agenti di Mammagialla trovano quell’immagine il 3 maggio 2016, e la sequestrano perché “eccedente (18 x 15) le misure massime (10 x 15) stabilite dal regolamento interno” del carcere. Un provvedimento contro il quale Costa si ‘ribella’, rivolgendosi al magistrato di sorveglianza di Viterbo che però “rigetta il reclamo”. Ma il presunto capobastone ricorre per Cassazione, chiedendo la restituzione della foto “in virtù del fatto che l’immagine della madre deceduta era da ritenere funzionale alla cura del proprio diritto all’affettività”. La suprema corte accoglie il ricorso. “La domanda è da ritenersi inerente a un diritto soggettivo della persona reclusa, individuabile in quello alla cura delle relazioni affettive e da ritenersi esercitabile anche attraverso la conservazione di immagini riproducenti le persone care, specie se decedute. Il diritto in questione comprende quello alla conservazione dell’immagine che riproduce la persona defunta, sorta di diritto al ‘mantenimento della memoria’ attraverso la visione dell’immagine, aspetto che rientra nel mantenimento della dignità della persona”

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