Mar. Mar 19th, 2024

Riceviamo e pubblichiamo un lungo articolo di Emilio Sirianni, presidente della sezione lavoro della Corte di Appello di Catanzaro, il quale interviene sulle vicende amministrative e giudiziarie del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, relative alle attività promosse nel piccolo borgo reggino per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti. Si tratta della versione integrale del pezzo apparso nell’edizione odierna del quotidiano “Il Manifesto”.

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«Riace è così: si vede e non si vede. Conficcata su una collina della fascia ionica reggina, segue alcuni paradigmi delle realtà locali vicine, con tutti i loro difetti (e i loro pregi): la chiusura, la diffidenza, la larvata impudicizia del bene comune, il senso di abbandono, la povertà. E l’accoglienza». E’ così è arrivata l’ultima, lungamente celata, relazione ispettiva della Prefettura di Reggio Calabria sul sistema di accoglienza migranti di Riace ed è un’altra sorprendente perla, nella collana di miracoli che questo piccolo paesino di Calabria continua a regalare ad un paese immiserito ed incattivito.

I verbalizzanti dichiarano, in incipit, di voler abbandonare «formule di stretto criterio burocratico amministrativo», al fine di «spiegare non solo quello che viene fatto (o non fatto) a Riace, ma soprattutto come viene fatto direttamente dalle persone (di ogni colore e nazionalità) che ne sono le dirette e principali protagoniste». Ecco così un documento che non ha nulla dell’arido ed a volte astruso linguaggio dei burocrati ministeriali e riesce a rendere il senso profondo di un’esperienza unica.

Funzionari prefettizi, all’evidenza travolti dall’immersione in quel piccolo cosmo che apre anche i cuori più duri e trasporta lontani dall’odio e dalla paura che traboccano nei racconti di politici e media, descrivono la scuola in cui «ragazzini di Riace scherzano e scambiano commenti ironici con i loro coetanei dell’Africa o del vicino oriente»; le «case vecchie ed umili …ma pulite ed ordinate, venate della mescolanza di donne ed uomini di provenienza disparata» in cui ospiti d’altre parti del mondo conducono la stessa vita dignitosa della gente umile di Calabria; «un abile cuoco sahariano che sta preparando magnifiche pizze»; le «botteghe artigiane in cui si lavora il legno, il vetro, la lana, i tessuti…» e dove un cinquantenne del Kurdistan dipinge una bambola e scuote la testa rievocando il suo paese; quella «insenatura verde scavata nella collina», lavorata a terrazzamenti che ospitano le case degli asini, usati per la raccolta differenziata e gli orti che vi saranno realizzati, anch’essi da affidare ai migranti per integrare il sostentamento e forse anche per alimentare il ciclo dell’economia agricola.

Descrivono gli ispettori ed il verbale diventa un racconto. Sono quattro queste ispezioni, eseguite a gennaio, maggio, giugno e luglio del 2017, le altre tre redatte con il consueto tono ministeriale. Sono state eseguite in maniera più approfondita di quelle di settembre e dicembre 2016, da cui sono iniziati i guai giudiziari di Mimmo Lucano ed hanno tutte, a differenza delle prime due, conclusioni, non solo positive, ma largamente elogiative per il “sistema Riace”.

Eppure le prime sono state immediatamente trasmesse al sindaco, finite alla Procura di Locri e finanche (in tempo quasi reale) su organi di stampa (di centrodestra), queste sono singolarmente rimaste a lungo non conoscibili. Mimmo Lucano le ha chieste più volte verbalmente, senza esito. Le ha chieste due volte con note protocollate in Prefettura il 15 settembre 2017 ed il 5 novembre 2017 e gli hanno risposto accampando poco consistenti ragioni che ne avrebbero impedito il rilascio.

Infine, circa due settimane fa, ha presentato denuncia contro questa omissione presso la procura di Reggio Calabria ed ecco che il 20 febbraio, finalmente, queste relazioni arrivano ed hanno il contenuto e l’esito che si immaginava avrebbero avuto. Nel frattempo, dalle prime relazioni negative è nata un’indagine penale, per la quale Lucano è stato crocifisso. Nel frattempo i finanziamenti sono stati bloccati e tali sono rimasti, nonostante nelle ultime relazioni di cui si parla se ne sollecitasse lo sblocco.

A questo punto, essendo i Prefetti dei funzionari gerarchicamente subordinati al Ministro degli Interni, viene spontanea la domanda: il ministro Minniti sapeva di questo singolare operato? Sapendolo adesso, intende far qualcosa o si deve concludere che la realtà di Riace, negazione vivente della validità di una politica di respingimenti, paura e muri, rappresenti una spina nel fianco da eliminare? Non soltanto per qualche burocrate o interessato gestore locale di progetti di accoglienza.

Emilio Sirianni

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