Ven. Mar 29th, 2024

La Corte Europea per i diritti dell’Uomo ha accolto il ricorso della difesa del prefetto calabrese, che all’epoca era in predicato di essere promosso ai vertici del Dipartimento della pubblica sicurezza. Invece chi disse falsamente di aver sequestrato due molotov alla Diaz non è stato mai neanche indagato.

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La Corte Europea per i diritti dell’Uomo ha accolto il ricorso della difesa del prefetto calabrese, che all’epoca era in predicato di essere promosso ai vertici del Dipartimento della pubblica sicurezza. Invece chi disse falsamente di aver sequestrato due molotov alla Diaz non è stato mai neanche indagato.

Adesso anche la Corte Europea per i diritti dell’Uomo, che ha dichiarato meritevole di esame e approfondimenti il ricorso presentato dalla difesa, lo mette nero su bianco: qualcosa non quadra nel processo sui fatti di Genova, all’ombra del G8 tenutosi in quella città nel 2001. Soprattutto non quadrano alcune singolari forzature che portarono alla condanna dei vertici della Polizia di Stato e, tra questi, di Franco Gratteri che, al culmine di una brillante carriera, era in predicato per una promozione ai vertici del Dipartimento della pubblica sicurezza.
Assolto in primo grado da un reato impossibile, aver falsificato un verbale che attestava il rinvenimento all’interno della scuola Diaz di alcune bottiglie molotov, si ritrovò condannato in appello con una procedura che avrebbe, sostanzialmente, leso il suo diritto di difendersi.
Giusto per capire la portata della cosa, va ricordato che a Gratteri si contestava, appunto, un reato impossibile perché il falso in un atto pubblico non lo poteva commettere in quanto rivestiva la carica di prefetto e per tale ragione non era più ufficiale di polizia giudiziaria. Inoltre il verbale con la falsa attestazione del rinvenimento delle molotov, Gratteri non solo non lo firmò mai, ma venne redatto quando questi era lontano dai luoghi teatro degli scontri del G8. Infine una annotazione che rende l’idea della singolarità che spesso caratterizza l’azione della magistratura italiana: chi materialmente mise sul tavolo le due bottiglie molotov, giurando falsamente di averle sequestrate dentro la scuola Diaz, non è stato mai condannato. Anzi non è stato mai neanche indagato.
Insomma nel paese dei complotti, veri e presunti, c’era quanto bastava per legittimare il sospetto che qualcuno stesse approfittando dei gravi fatti avvenuti a Genova e della “macelleria messicana” che si consumò in quella occasione, per eliminare un qualificato concorrente dalla corsa ai vertici del Dipartimento della pubblica sicurezza. Di certo abbiamo che in una intervista all’indomani della sentenza, il presidente della Corte d’Appello di Genova che ribaltò il verdetto a carico di Gratteri, si lasciò andare a un commento che oggi figura tra le ragioni di ammissibilità del ricorso. Disse di essersi tolto, con quella sentenza, «un sassolino dalla scarpa», autorizzando così la difesa a lamentare una grave mancanza di terzietà.
A diciassette anni da quei fatti, arriva adesso il pronunciamento della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo che ritiene fondato il ricorso proposto da Franco Gratteri e da quanti con lui sono stati assolti in primo grado e sono poi stati condannati in appello e in Cassazione per falso e calunnia.  Senza che mai la Corte di appello di Genova, prima di “ribaltare” la sentenza di assoluzione del Tribunale, avesse risentito i testimoni già interrogati in primo grado.
Non facendolo, è la tesi dei ricorrenti ritenuta meritevole di approfondimento da parte della Corte europea, avrebbe violato l’articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo (diritto ad un equo processo) che sancisce il diritto degli imputati di interrogare i testimoni a carico. In più c’è l’aggravante del mancato accoglimento dell’istanza della difesa del prefetto Gratteri che più volte ha invocato un confronto con il poliziotto che materialmente mise le molotov nella scuola Diaz e, successivamente, falsificò i verbali di accesso ai luoghi.
Gratteri ha scelto la via della pensione, deluso e amareggiato da uno Stato patrigno in difesa del quale in più occasioni, a Siderno, Palermo, Roma, Bari, ha rischiato la vita. Alla sua attività nella ricostruzione delle stragi di mafia palermitane con individuazione, arresto e condanna dei responsabili, si sono ispirati libri, studi universitari, film e sceneggiati televisivi. L’operatività sul campo, poi, ha sempre fatto pendant con tratti di grande autonomia e convinta adesione alle regole di uno stato democratico. La sua condanna, anche per questo, risuonò sin da subito come una beffa atroce per quanti conservano, ancora e malgrado tutto, una fede solida nella supremazia dello Stato. La decisione finale della Corte Europea, quando arriverà, sarà sicuramente appagante ma altrettanto certamente inutile: troppo tardi per evitare i danni che una giustizia ingiusta ha provocato non solo e non tanto alla figura di un servitore dello Stato onesto e per bene ma, più in generale, a una comunità che di questi modelli ha bisogno sempre più… ma ne incontra sempre meno.

Paolo Pollichieni- corrieredellacalabria.it

 

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