Ven. Apr 19th, 2024

L’ex eroina antimafia di San Luca attacca i magistrati (soprattutto Gratteri) dagli Stati Uniti. Ma per i giudici di Locri ha mentito sui finanziamenti ricevuti. E li ha usati per acquistare abiti firmati e un’auto tenuta nascosta al “suo” movimento. Le intercettazioni: «Sono arrivati i soldi… ci stiamo mangiando il pesce»

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Da un lato c’è un collegio di giudici che ha messo in atti una sentenza di condanna per truffa, per avere l’imputata sfruttato una posizione di «esponente di rilievo dell’attività di contrasto alla ‘ndrangheta» per spendere a fini personali quei soldi che il contrasto alla ‘ndrangheta dovevano farlo veramente. Dall’altro lato c’è lei, ex simbolo della lotta alla mafia, che in attesa del giudizio d’Appello ha frapposto tra sé e i giudici l’Oceano e parla, pontifica, attacca.
Attacca l’Italia, i giornalisti, i magistrati. Dice che le informazioni che circolano sono filtrate e al servizio di un certo sistema. Rosa Canale, detta Rosy – una condanna in primo grado, il 22 gennaio 2016, a quattro anni per truffa – oggi parla dagli Stati Uniti e si appella al primo emendamento della Costituzione americana che garantisce la libertà di parola e di stampa, diritti secondo lei non garantiti in Italia dove sarebbe stata vittima, da parte di «centinaia» di giornalisti, di «lapidazione mediatica nei miei confronti» all’indomani dell’arresto nell’operazione “Inganno” condotta dalla Dda reggina. Ex simbolo dell’antimafia con la creazione del “Movimento delle donne di San Luca”, nato all’indomani della strage di Duisburg, la sua stella è tramontata sotto le pesanti accuse di avere impiegato una parte consistente delle somme ottenute a favore del “Movimento” per finalità esclusivamente private «anche mediante il ricorso a fatture soggettivamente od oggettivamente false o gonfiate». Lei si ribella, dice che le accuse nei suoi confronti sono state «elaborate, cambiate e messe a punto» dalla Procura reggina fino a costringerla ad affrontare un rinvio a giudizio, un processo e una condanna. Condanna che arriva dai giudici del Tribunale collegiale di Locri – Amelia Monteleone presidente, a latere Annalisa Natale e Mario La Rosa – i quali nelle motivazioni della sentenza affermano che l’imputata «mediante lo sfruttamento della posizione acquisita quale esponente di rilievo dell’attività di contrasto alla ‘ndrangheta e di riscatto per la realtà disagiata del paese di San Luca» ha indotto in errore «gli enti erogatori dei contributi finalizzati alla realizzazione del progetto “Isola rosa” – segnatamente la Fondazione Enel Cuore e il ministero della Gioventù – strumentalizzando le iniziative di utilità sociale alle quali i contributi dovevano essere destinati, per finalità privatistiche, al fine di trarne un indebito profitto personale». Dal Movimento partivano progetti destinati ad attrarre finanziamenti senza mai realizzare gli scopi previsti. Così è stato anche per il progetto “Le botteghe degli antichi mestieri” del quale i giudici scrivono: «Le risultanze probatorie hanno, inoltre, dimostrato come l’Ufficio territoriale di governo di Reggio Calabria sia stato parimenti raggirato ed indotto in errore in ordine al progetto denominato “Le botteghe degli antichi mestieri”, avente ad oggetto la promozione di attività artigianali quali la lavorazione del telaio antico e la manifattura del sapone, progetto per il quale veniva stanziato ed erogato un contributo di 40mila euro, atteso che le attività in questione non sono mai state concretamente realizzate». Secondo la Canale non esistono le carte che riscontrano le accuse. Secondo i giudici che l’hanno condannata, invece, oltre alle intercettazioni, ad avere decretato la condanna della Canale c’è anche «l’analisi di alcuni documenti di rilevante spessore acquisiti al fascicolo per il dibattimento».

ISOLA ROSA Tra questi, i documenti relativi alla realizzazione del progetto “Isola rosa”, una ludoteca, uno spazio gioco che doveva sorgere con il «dichiarato obbiettivo di creare una… “concreta opportunità di crescita per le nuove generazioni in un paese (San Luca, ndr) noto alle cronache mondiali per essere la capitale della ‘ndrangheta”». Una “capitale della ‘ndrangheta” sulla quale la magistratura vuole fare carriera, pontifica la Canale su Facebook, perché «la ‘ndrangheta è funzionale agli ambiziosi». Ma non dice se è servita anche a lei che sulla ‘ndrangheta pure stava costruendo un personaggio e una carriera, con un libro edito nel 2012 e uno spettacolo itinerante nel quale raccontava la propria storia di “donna-coraggio” che si ribella ai «signori ‘ndranghetisti» che volevano spacciare nella discoteca che gestiva a Reggio Calabria. Tempi in cui i giornalisti erano amici, quando Rosy Canale poteva dire al telefono – nel momento in cui stava avendo problemi con l’istituto di credito al quale aveva chiesto un anticipo di 15mila euro per pagare degli acconti, in attesa del contributo di 160mila che avrebbe erogato la fondazione Enel – «… domani faccio il pezzo! Esco sopra tutti i giornali…». Il Tribunale di Locri analizza la documentazione bancaria e acquisisce il fatto che «l’associazione aveva un unico conto corrente presso la predetta banca (banca di credito cooperativo di Cittanova, ndr) e detto conto era anche l’unico rapporto gestito e utilizzato dalla Canale che non risultava intestataria di altri conti correnti – né avrebbe in effetti potuto essere intestataria – poiché, per pregresse vicende personali, risultava non abilitata alla emissione di assegni bancari».

«SONO ARRIVATI I SOLDI» Il 27 ottobre 2009 Canale riceve la raccomandata da parte di Enel Cuore con cui viene ufficializzata l’erogazione del contributo. «Ricevute le comunicazioni – scrivono i giudici – (da Enel Cuore e Banca di credito cooperativo di Cittanova) la Canale prelevava, nella stessa giornata, dal conto corrente intestato al Movimento, la somma di 4000 euro; il successivo 29 ottobre prelevava dal medesimo conto la ulteriore somma di 5000 euro». Ma quello che non lascia adito a dubbi sono le telefonate che seguiranno alla notizia dell’erogazione del contributo, a partire dalla sera del 27 ottobre quando la Canale chiama sua figlia Micol che lei soprannomina Ciciò.
Rosy – senti, di che colore le vuoi le Hogan?
Micol – perché?
Rosy – sono arrivati i soldi! Ciciò!
Micol – davvero?
Rosy – e… teso…
Micol – ah (sospira)
Rosy – sai dove sono?
Micol – no
Rosy – al Circolo Velico col nonno e ci stiamo mangiando il pesce Ciciò!
Micol – sì?
[…]
Rosy – ci sono arrivati i soldi amore! Senti…
Micol – e quanto ti… ti tieni?
Rosy – va boh, poi vediamo… senti che colore le vuoi le Hogan?
La telefonata prosegue discorrendo di cose da comprare, di numeri di scarpe, di sciarpe Burberry, di borse firmate. Il collegio del Tribunale di Locri non mostra che le intercettazioni possano dare adito a incertezze interpretative: «Il contenuto e tenore della conversazione sono talmente espliciti da non lasciare spazio alcuno a una interpretazione diversa da quella ipotizzata dalla pubblica accusa».
Molto più cauta si mostra al telefono la signora Lidia, madre di Rosy Canale, perché mentre la figlia parla di regali fatti alla zia e al padre (due paia di scarpe, un cappotto, un vestito, 20 paia di calze, un pigiama nuovo, maglie interne Liabel) la madre la rimbotta:
Lidia – Rosa e… cerca di… di tenerti con i soldi bella che… non… non è che sono tuoi!
Rosy – me ne fotto! Me ne fotto
Lidia – no, devi dare conto, tu… sì te ne fotti!
Rosy – no, dei soldi miei sto spendendo io, non dei soldi degli altri…
Lidia – buono va!

POCO PLAUSIBILE Poco plausibili, secondo il Tribunale, le spiegazioni fornite dalla Canale in sede dibattimentale sulla questione spese. L’imputata ha sostenuto che i soldi spesi si riferivano a un “gettone” di 3000 euro cui aveva diritto per la redazione del progetto e all’assegno di mantenimento da parte dell’ex marito dall’importo di 1.500 euro. Canale giura «davanti a Dio» che non considerava suoi i soldi dell’associazione ma quelli del mantenimento per elargirle i quali suo marito le faceva spesso questioni perché la accusava di spenderli per le «stupidaggini di San Luca» e per divertirsi con una persona che frequentava. «Le dichiarazioni dell’imputata sul punto risultano, ad avviso del Tribunale, intrinsecamente incoerenti, e contraddittorie con le risultanze dell’attività tecnica, atteso che non è emerso alcun elemento a suffragio della circostanza ipotizzata dalla Canale che la stessa potesse tenere separata la propria contabilità in funzione della provenienza delle varie somme diversificando il loro utilizzo a seconda che fossero riconducibili al “gettone per la redazione del progetto” di euro 3000 (la cui spettanza in verità è rimasta ingiustificata) ovvero all’assegno di mantenimento di euro 1.500», scrivono i giudici.

IL MARCHIO DEL MOVIMENTO Saponi, sciarpe, tutto col marchio delle Movimento delle donne di San Luca, mai prodotto dalle donne di San Luca, ma, soprattutto, soldi che non sarebbero mai confluiti nelle casse del Movimento. Secondo il tribunale, inoltre, «oltre ogni ragionevole dubbio» visto che nessun diverso accredito è stato effettuato sul conto dell’associazione (diverso dai contributi elargiti dagli enti) e nessuna diversa ricarica è stata operata sulle predette carte prepagate (che non sia riconducibile ai prelievi in contanti da conto della associazione) «il collegamento tra i finanziamenti e le spese (voluttuarie) dell’imputata mediante le carte prepagate ad essa riconducibili risulta dimostrato». Biglietti aerei, spese in negozi quali H&M, Sandro Ferrone, Tezenis, Vania Roma.. tutto l’imputata dirige verso quel rimborso da 3000 euro cui avrebbe avuto diritto ma che il Tribunale considera una «affermazione apodittica attesa la gratuità delle cariche come previsto dallo statuto della associazione».

ME LO HA DETTO LA PREFETTURA Quando Rosy Canale viene a sapere di avere sul conto dell’associazione l’accredito di 160mila euro da parte di Enel Cuore (che si costituirà in giudizio parte civile) alla vicepresidente dell’associazione, Teresa Giampaolo, non dice nulla. Anzi, le dirà che c’è stato un accredito di 18mila euro. Di tenere tale comportamento, racconterà ai giudici, le è stato suggerito dalla Prefettura. Così quando comprerà una Fiat 500 – rendicontando la cosa al ministero della Gioventù come spesa per l’associazione la cui sede si trova «in aperta campagna» e affermando che l’auto è usata dalla direzione del Movimento – alla vicepresidente dirà che l’auto è di sua cugina. Quell’auto che usava solo lei e di cui le altre donne non erano a conoscenza. Nel corso del processo la Canale dirà che tale comportamento le era stato suggerito dalla Prefettura «perché loro mi dicevano sempre “parla meno che puoi, non esporre le donne al fatto che loro… che tu hai dei soldi, il conto corrente lascialo a nome tuo, perché non vogliamo che qualcuno sappia che magari c’è la firma di Teresa e qualcuno si presenta a casa di Teresa e gli dice: “dammi dei soldi”». Ma le motivazioni dell’ex paladina antimafia non fanno breccia nei giudici i quali tra l’altro annotano nelle motivazioni come «in maniera del tutto inverosimile peraltro l’imputata nel corso delle dichiarazioni rese in dibattimento, ha attribuito al ministero della Gioventù anche il suggerimento volto ad inserire nella fattura (oltre all’acquisto dell’auto) la dicitura “noleggio mezzi”».

LA CROCIATA DI ROSY Da New York oggi Rosy Canale attacca, dalla sua pagina Facebook, chi l’ha, a suo dire, perseguitata. Il suo obiettivo principale è il procuratore Nicola Gratteri, oggi a capo della Procura di Catanzaro e all’epoca dell’operazione “Inganno” aggiunto a Reggio Calabria. C’è lui dietro i guai di Rosy Canale, “rea” di avere creato un Movimento ormai famoso «in tutto il mondo», un movimento che dava fastidio e che attirava l’attenzione dei mass media, quando i mass media erano amici. Da quel Movimento delle donne di San Luca, però, non è nato niente, nessuna ludoteca, nessun laboratorio di tessitura, nessun saponificio. In una intervista del 17 ottobre 2013 al Fatto Quotidiano la Canale, in occasione della presentazione del suo spettacolo teatrale, parla del fatto che la ludoteca sia chiusa da oltre tre anni per mancanza di finanziamenti «perché nessuno ha dato fiducia a questa iniziativa». Ma all’epoca lei era già lanciata altrove, in giro per l’Italia a solcare i teatri. «I laboratori, dunque, non venivano mai realizzati – annota mestamente il collegio di Locri –; l’imputata ad avviso del Tribunale, ha sempre orientato la propria attività alla realizzazione di una struttura a carattere industriale della quale, fin dall’inizio, aveva intenzione di assumere la gestione diretta». Con buona pace delle donne di San Luca.

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