«Signor Prefetto, ancora una volta, come dal 2006, e con i miei familiari, devo rinunciare ad esercitare il mio diritto e il mio dovere di cittadina italiana, precludendomi di partecipare a libere elezioni e alla vita democratica». Inizia così la lettera inviata al Prefetto da Liliana Esposito Carbone, la mamma di Massimiliano Carbone, giovane imprenditore ucciso a 30 anni a Locri, nel 2004. «Negli anni – prosegue – ho ascoltato molte parole, troppo spesso retoriche e di blandizie di circostanza, o talvolta magnanime; indimenticabili per loro efficacia comunicativa in termini di impegno personale e istituzionale, quelle che mi pervennero in una lettera dell’agosto 2007 dall’allora prefetto di Reggio Calabria: “La credibilità dello Stato e delle istituzioni si difende nell’assicurare i rei della Giustizia, e nel far sì che mai più una madre debba piangere il proprio figlio”. Ma – dichiara – non è cambiato nulla per la mia famiglia, nulla per la Memoria di questo giovane uomo di Calabria straziato sotto casa da una lupara». Liliana si chiede quindi: «A chi è stata di vantaggio l’insufficienza delle indagini? (…) Continuo a mantenere il dovere dell’indignazione per questa vita spezzata, e ora sommersa nell’indifferenza». Poi, rivolgendosi al Prefetto: «Comprendo bene che nonostante il Suo ruolo e le Sue competenze nessun intervento possa essere esercitato in questa vicenda. Le sono grata comunque per l’attenzione che mi avrà prestato».
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(LA RIVIERA ONLINE)