Di Franco Blefari
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Quanti giovani d’oggi non conoscono le loro radici, pur vivendo in paesi di genesi contadina. Non basta avere un diploma o una laurea, se poi brancolano nel buio più totale perquanto riguarda la conoscenza del loro passato, chi erano i loro nonni, come vivevano e quali erano gli strumenti di lavoro che permetteva alle loro nonne di portare avanti una famiglia, accudendo la casa, e ai loro nonni di guadagnarsi il pane con il lavoro dei campi. Che tristezza vedere giovani che non sanno a cosa serviva l’aratro, cosa si faceva nel frantoio o come si trebbiava il grano. Che tristezza vedere giovani che giocano con lo smartphone anche camminando o guardando la televisione. Che tristezza – alla mia età – vedere nascere i governi come le stagioni e nessuno si presenti alle consultazioni con un programma da realizzare, una volta eletto, per incentivare con leggi appropriate la cultura popolare, quella che insegna ad ognuno di noi come leggere i nostri cromosomi che raccontano il nostro carattere ereditario: chi siamo e da dove veniamo. Che tristezza quando nemmeno gli adulti, non dico gli anziani, non conoscono il loro dialetto, che è la radice più profonda della loro calabresità. Che tristezza quando una generazione passa e di sè orme non lascia.