Ven. Apr 19th, 2024

Il 42enne di San Calogero accusato di aver ucciso il 29enne maliano nega tutto davanti al giudice. A complicare la sua posizione le conversazioni (intercettate) dei familiari. Che intanto cercavano un «giornalista buono» per placare l’eco mediatica

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Nega tutto Antonio Pontoriero. Non è lui, sostiene, l’assassino del sindacalista maliano 29enne Soumaila Sacko, ucciso a colpi di fucile sabato pomeriggio alla “Fornace Tranquilla”, un’ex fabbrica abbandonata nella zona di San Calogero, nel Vibonese, da anni sotto sequestro per un presunto interramento di rifiuti tossici. Interrogato durante l’udienza di convalida del fermo, eseguito giovedì dai carabinieri, Pontoriero ha respinto ogni addebito. A suo dire, si sarebbe trovato nella zona della Fornace all’ora dell’omicidio per mera casualità. E Il giudice per le indagini preliminari si è riservato la decisione sulla convalida.

«ESTRANEO AI FATTI» «Il mio assistito ha spiegato al giudice che quel pomeriggio si trovava nei pressi della Fornace per parlare con i braccianti senegalesi che abitano nella casupola che c’è sopra l’ex fabbrica», ha riferito il suo legale, l’avvocato Francesco Muzzupappa. È da lì, secondo i rilievi tecnici, che l’assassino ha sparato per scacciare gli “intrusi” che avevano osato accedere all’ex fabbrica senza il suo permesso. «Ma di certo non è stato lui, anche perché sa perfettamente che quell’area è sotto sequestro. Lui e la sua famiglia sono proprietari di alcuni appezzamenti in zone limitrofe, per questo si trovava da quelle parti», spiega il legale. Eppure il 5 maggio scorso, è proprio Pontoriero che i carabinieri, avvertiti da una preoccupata segnalazione, hanno trovato nella zona dell’ex Fornace con l’atteggiamento del padrone infastidito.

UNA VERSIONE CHE SCRICCHIOLA E anche gli elementi messi in fila dagli investigatori sembrano smentire la versione del 42enne di San Calogero. Pontoriero è stato riconosciuto dai due braccianti che sabato pomeriggio erano con Soumayla, che hanno fornito agli inquirenti una precisa descrizione fisica dell’uomo che ha sparato, come dei vestiti che portava e dell’auto che guidava. E tutte le indicazioni sono state riscontrate dagli investigatori, che hanno trovato e sequestrato i vestiti raccontati dai due prima che la lavatrice in cui erano stati prontamente collocati cancellasse ogni traccia, così come l’auto – una Panda bianca – parcheggiata davanti alla casa dei genitori di Pontoriero.

“INCASTRATO” DAI FAMILIARI Ma a complicare la posizione del 42enne e rendere poco credibile la sua versione dei fatti sono soprattutto le conversazioni dei suoi familiari. «Io non gli canto niente», dice la sorella di Pontoriero, Luciana, intercettata poco dopo la notifica dell’avviso di garanzia al fratello. Lo zio Francesco invece quasi inveisce: «Adesso mi salgono i cazzi con queste cose. Quando sparano tolgono il colpo, toglilo questo colpo», tuonando contro la “disattenzione” che sembra aver permesso agli investigatori di rinvenire un bossolo in un cespuglio. «Nel prosiegiuo della conversazione – scrivono gli inquirenti – emerge la preoccupazione della famiglia in ordine alla rilevanza mediatica che il fatto sta prendendo, valutando altresì la possibilità di orientare l’informazione mediante un qualche “giornalista buono”».

HA GIRATO LE SPALLE D’altra parte uno dei sopravvissuti a quei colpi di fucile, Drame Madiheri, Pontoriero l’ha visto bene in faccia. Dopo aver visto cadere Soumaila, colpito a morte dai proiettili, è riuscito a scappare via e allontanarsi alla ricerca di soccorso. Si è diretto al casolare che si affaccia sulla fornace, dove vivono da tempo due braccianti senegalesi. A loro si era rivolto il ragazzo quando si è presentato Pontoriero. Drame l’ha riconosciuto subito dai vestiti che aveva addosso. Ha capito che era stato lui a uccidere quell’amico che sentiva come un fratello. L’uomo non era più armato, ma il ragazzo era terrorizzato. Temeva di essere nuovamente vittima di violenze. Per questo ha chiesto il permesso di soccorrere il suo amico, poi lo ha implorato di portarlo in auto al più vicino ospedale. Ma Pontoriero ha girato le spalle dicendo che non ne voleva sapere niente. «È che la moglie lo aveva chiamato perché le servivano le chiavi di casa», spiega l’avvocato Muzzopappa.

L’INDAGINE Tutti elementi adesso a disposizione del giudice cui adesso toccherà valutare se ci sono elementi sufficienti per confermare il carcere per Pontoriero. Per investigatori ed inquirenti, fin da subito l’uomo è stato il sospettato numero uno e gli elementi raccolti nel corso delle indagini non hanno fatto che confermare quell’intuizione. «Il fermo è stato eseguito sulla base delle dichiarazioni delle vittime e degli accertamenti successivi – ha spiegato Gianfilippo Magro, comandante provinciale di Vibo Valentia –. La chiave di volta dell’indagine è stato l’intervento immediato dei carabinieri che ha consentito di fissare gli elementi essenziali per la prosecuzione delle indagini».

IN ATTESA DELLO STUB Il riferimento è all’auto, una Panda bianca vecchio modello targata AW, e ai vestiti di Pontoriero, descritti con precisione dai due amici di Sacko. Adesso è tutto in mano ai Ris di Messina che stanno accertando l’eventuale presenza di polvere da sparo. I risultati si attendono a breve e potrebbero essere determinanti perché qualora fossero positivi dimostrerebbero senza ombra di dubbio che sabato Pontoriero ha sparato. E toccherà a lui spiegare a chi, quando e perché.

(FONTE CORRIERE DELLA CALABRIA)

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