Ven. Mar 29th, 2024

Monsignor Oliverio ha celebrato una messa in rito greco-bizantino in suffragio delle 10 persone che hanno perso la vita nelle gole del Raganello: la solidarietà a questa comunità è una testimonianza di fede straordinaria

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Desiré e suo marito sono olandesi, la stessa nazionalità di una delle persone sopravvissute nella strage delle Gole del Raganello. Nella piazza centrale di Civita osservano il via vai di istituzioni, forze dell’ordine e giornalisti. La comunità, invece, è tutta raccolta nella Chiesa di Santa Maria Assunta, aspetta in silenzio. Lo stesso della notte del 20 agosto e dei giorni seguenti. «Abbiamo letto quello che è successo», dice la coppia. Poco più di 60 anni e tanta voglia di viaggiare. «Ci fermeremo qui per tre giorni, si sta bene, possiamo solo immaginare cosa abbia provato questa comunità, così come le vittime. Nel nord della Spagna abbiamo fatto una escursione simile, deve essere stato tremendo». 
Altre coppie di turisti passeggiano per le strade. L’estate a Civita si è fermata il 20 agosto, esattamente un mese fa, portandosi dietro 10 persone e cambiando inevitabilmente la vita dei sopravvissuti. Dalla messa di commemorazione delle vittime così come dalla fiaccolata, quanto in questo mese è stato prodotto dalle indagini della Procura di Castrovillari viene tenuto fuori. Il tempo della giustizia e il tempo della commemorazione non possono convivere.

 

L ‘ABBRACCIO ALLA FAMIGLIA DI ANTONIO Amelia, sorella del soccorritore alpino Antonio De Rasis – unico calabrese a perdere la vita nel canyon del Raganello – siede tra i banchi della Chiesa che ormai è diventata anche la sua comunità. Ed è proprio il calore umano che ha ricevuto in questi 30 giorni a cui non riesce a smettere di pensare. «Da quella tragedia – racconta – rimane tanto dolore e ogni giorno sembra essere peggio. In ogni attimo della giornata, dalla mattina alla sera, per il poco che riusciamo a dormire il pensiero della mia famiglia e di tutte le persone che ci sono vicine è rivolto a mio fratello».
Un dolore, affievolito solo dall’abbraccio della comunità del Pollino. «Non riusciamo a rassegnarci alla morte di Antonio, era giovanissimo, così come le persone rimaste vittime insieme a lui. Non si può morire a questa età. Ad oggi possiamo solamente ringraziare tutte le persone che ci sono state vicine, tantissime, che ci hanno fatto sentire meno solo e non ci hanno mai abbandonati. Siamo certi che sarà una vicinanza che ci accompagnerà per il resto della nostra vita».

«UNA COMUNITÀ UNITA» La fascia tricolore lambisce il dorso e il torace del sindaco Alessandro Tocci. Accoglie tutti alla soglia del Municipio. C’è anche lui tra i sette indagati dalla Procura, ma la prima preoccupazione è la sua gente. «Ho una comunità che da oggi vuole fare in modo che si continui ad essere quello che siamo sempre stati, incorporando però nella nostra memoria collettiva il ricordo delle dieci persone che ci hanno lasciato».
Alessandro Tocci abbraccia il presidente del parco del Pollino Mimmo Pappaterra e monsignor Donato Oliverio che ha celebrato la messa in suffragio delle vittime: «Di quel giorno ho impresso nella mia mente il momento in cui le dieci salme erano nella nostra palestra».

LA TESTIMONIANZA DI FEDE La celebrazione in rito greco-bizantino di monsignor Donato rievoca le radici arbreshe di Civita. I simboli del monsignore e l’odore di incenso si cospargono insieme alle parole del celebrante: «L’amore vicendevole, la solidarietà umana e la vicinanza a questa comunità sono una testimonianza di fede straordinaria – dice nell’omelia -. Solo l’essere fratelli e sorelle ci può salvare e aiutare nei momenti di sconforto. Molte parole sono state dette, per raccontare questa tragedia, altre nell’affrettarsi in giudizi, ma le più sincere sono quelle pronunciate da chi si è rimboccato le maniche e ha lavorato per mettere in salvo vite umane».

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