Ven. Apr 19th, 2024

Il libro è narrativamente complesso, non solo in senso quantitativo, fitto com’è di storie, ma anche in senso qualitativo poiché incrocia e tratta temi diversi: il potere e l’ambizione, il denaro e l’avidità, la colpa e la responsabilità, l’ira, la crudeltà e il sesso. All’inizio, la molla che aziona il lettore è quella di provare a riconoscere contesti e personaggi della vita reale di un paese di provincia, più esattamente della Locride, appunto Lumache, questo si riconoscibilissimo. Poi, procedendo, le ragioni si fanno altre, più serie e molteplici. La prima è nella struttura del racconto, illustrato da un narrante impersonale, che non entra in scena, ma si limita a far da guida e a commentare, quasi come il Coro ridimensionato dalla maturità del dramma antico; la scena, anzi le scene, sono invece mosse dai dialoghi, strumenti narrativi sempre efficaci, che impongono e marcano le tante vicende che, pur distinte, animano e anzi agitano la vita di Lumache. Poi, il linguaggio, assai simile al parlato, talvolta ancora più esplicito, una sorta di realismo esasperato applicato con sistematicità e senza ripensamenti. Quanto ai contenuti, seguirli in queste pagine sarebbe arduo e in fondo inutile; troppe le autonome trame narrate. In generale, lo sfondo più ampio e marcato è occupato dalla rappresentazione della politica, quella emersa sulle macerie della Prima Repubblica: i Partiti non ci sono più e le sezioni hanno chiuso i battenti; senza i numeri, non c’è coralità, si impongono e dominano soltanto i singoli che, essendo soli, assai spesso restano prigionieri e vittime di sé stessi. E ancora, il sesso, molto sesso, coniugato in forme e atteggiamenti diversi, a volte semplificati in versione comico-popolare, a volte di stampo più sofisticato, che, senza alcuna remora, illustra pulsioni sessuofobiche e sadiche, retaggi di edipiche passioni infantili o di non chiariti rapporti con l’idea di potere e la volontà di dominio a questo connessa; sembra, in questo non secondario settore del libro, di percepire un richiamo alla “Città degli amanti” di Riccardo Bacchelli, luogo utopico costruito per i piaceri immorali dei ricchi, destinato naturalmente a sprofondare. Altro tema, non estraneo alla grande letteratura, su cui gli Autori insistono è quello della colpa e della responsabilità, con al centro il correlativo senso del rimorso, da cui però si guarisce grazie alla più classica delle medicine, la sofferenza, che purifica anche i peccati più gravi. Estremamente ricco è il catalogo dei personaggi posti al centro di storie che scorrono suscitando attese. Tutti hanno profili caratteriali marcati precisamente in modo da costituire il riflesso concreto e materiale del tema sul quale si muovono. L’Architetto, ad esempio, Sindaco ambizioso, realizzatore di una politica costruita più da una spinta intimistica che da un anelito sociale. Poi c’è il barbone, al centro di un mistero, epicamente vittima più di sé stesso che del destino. E ancora il senatore Croce, attaccato al potere <>. Tra tanti altri, emerge il Brigadiere Capo, classico personaggio edificante, aperto, sagace, tenace, dotato di grande intelligenza investigativa, tutto pudore, sobrietà ed efficacia. Dunque un paese della provincia, con le sue miserie, i suoi delitti e anche qualche rara grandezza. Un paese in presa diretta, reale, a tutto tondo, privo dei filtri e delle parzialità degli odierni social. Insomma un libro piacevolissimo, in continua tensione, senza pause noiose. Da leggere.

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Francesco Macrì

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