Mar. Apr 23rd, 2024

Il procuratore Gratteri commenta i sequestri della Guardia di finanza alle cosche delle province di Catanzaro, Vibo e Cosenza. Nel mirino imprenditori vicini ai clan che a volte passano da zero reddito a grandi patrimoni

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Togliere denaro e potere alle cosche, ad affiliati e contigui, per togliere potere e sostentamento alle famiglie di mafia e a quella imprenditoria malsana che impoverisce il territorio. Su tre province, Cosenza, Vibo e Catanzaro, i finanzieri del comando provinciale del capoluogo e del gruppo di Lamezia Terme, coordinati dal procuratore capo Nicola Gratteri, dagli aggiunti Vincenzo Luberto e Vincenzo Capomolla e dai sostituti Camillo Falvo, Elio Romano e Pasquale Mandolfino, hanno dato esecuzione a sei distinti provvedimenti di sequestro per un valore totale di oltre 14 milioni di euro. «Su tutta la regione la polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza – ha detto il generale Fabio Contini, comandante regionale delle fiamme gialle – è presente con le sue specificità di intervento per mettere in atto sequestri nei quali si rileva la sproporzione tra i redditi dichiarati e quelli reali, quantificati dalla Guardia di finanza». Tra l’altro sono stati sequestrati 34 fabbricati, 9 attività imprenditoriali, 16 appartamenti, 2 ville lussuose, 40 terreni e 22 veicoli.

 

GDF 2.0 «Se vogliamo – ha detto Contini – è una Guardia di finanza 2.0 tesa a verificare se i beni riconducibili a determinati soggetti siano giustificabili dalle loro dichiarazioni dei redditi e dalle loro entrate ufficiali. Indagini condotte grazie alla guida competente di una Procura celere e dei suoi magistrati. Quando parliamo con loro parliamo la stessa lingua e i risultati ne sono la prova».
«Da almeno un anno abbiamo costruito concretamente un Ufficio misure di prevenzione degno di questo nome – ha detto il procuratore Gratteri –. Sono stati coinvolti tutti i magistrati della Procura di Catanzaro, anche i magistrati della Procura ordinaria faranno ora misure di prevenzione insieme ai magistrati della procura distrettuale antimafia. Possiamo dire di aver raddoppiato i pm che fanno misure di prevenzione, che oggi sono quasi 20. Togliere la ricchezza ai mafiosi è un’arma formidabile. Ovviamente lavoriamo con tutte le polizie giudiziarie ma da più di un anno la Guardia di finanza ha voluto dedicare degli uomini esclusivamente a quasto genere di attività. Un bel lavoro è stato fatto a Lamezia dal colonnello Clemente Crisci con i suoi uomini. Sta curando in particolare quel territorio e sono soddisfatto di come sia migliorato il lavoro della Guardia di finanza nei contenuti e a livello probatorio. Il Gico di Catanzaro, in particolare, può essere considerata una struttura all’avanguardia. Abbiamo creato una scuola all’interno della Procura – ha concluso Gratteri – dove anche i sei colleghi hanno giurato lo scorso 2 novembre già sono inseriti nel circuito delle misure di prevenzione». I sequestri sono coordinati dallo Scico di Roma con cui c’è un rapporto continuo e costante.

DA ZERO REDDITO A IMPRENDITORI AFFERMATI «L’attività delle fiamme gialle di Catanzaro ha colpito personaggi contigui alle cosche delle diverse province, in particolare nella provincia di Catanzaro le misure di prevenzione hanno riguardato soggetti appartenenti sia ai clan della costa ionica sia a quelli della tirrenica. C’è stato poi un soggetto legato alla cosca Anello di Vibo Valentia, e Franco La Rupa considerato contiguo alla cosca di Cassano allo Ionio», ha spiegato il Colonnello Carmine Virno, comandante del Nucleo economico finanziario di Catanzaro. L’attività del Nucleo di Catanzaro ha portato al sequestro di beni per circa 10 milioni di euro. «La Rupa – ha detto il colonnello Virno – è un soggetto che è stato per tanti anni un politico importante, è arrivato all’apice della carriera come consigliere regionale, è stato anche sindaco di Amantea dopo essere stato vicesindaco e assessore per tanti anni. È stato condannato per voto di scambio con un appartenente alla cosca Forastefano di Cassano allo Ionio al quale si era rivolto La Rupa per avere un aiuto in vista delle elezioni regionali consegnando allo ‘ndranghetista 30mila euro. Andando a vedere l’aspetto economico patrimoniale, nel corso degli anni – dai primi anni ’90 – per La Rupa e la sua famiglia, ai quali abbiamo sequestrato circa 9 milioni di euro, c’era una differenza tra quello che hanno affettivamente dichiarato e quello che hanno guadagnato. Sono stati colpiti i beni facenti capo ai familiari perché le indagini hanno permesso di verificare che il patrimonio era tutt’uno. Per esempio, il figlio di La Rupa ha aperto una attività commerciale quando non aveva neanche 18 anni, senza avere la possibilità di poter contare su alcuna fonte di reddito».
C’è poi il caso di Luigi Trovato, ritenuto contiguo alla cosca Giampà di Lamezia Terme. Nel suo caso c’era l’interposizione fittizia di una società che era intestata prima a Trovato e alla moglie per cui è stato cambiato il nome aggiungendo semplicemente la parola “new” ma, di fatto, mantenendo gli stessi locali e la stessa attività. In questo caso sono state sequestrate sia la parte che mancava da un precedente sequestro e sia le quote della nuova società.
Per quanto riguarda Francesco Mallamace, considerato legato alla cosca degli Anello di Filadeflia, nel Vibonese, aveva una società di taglio boschivo, attività di una certa potenza economica appartenente a chi prima non possedeva assolutamente nulla. Era capace di cambiare mezzi e attrezzature ogni anno, non disponendo di fatto di risorse compatibili con questo tipo di spese. I giudici che hanno adottato il provvedimento di sequestro hanno sancito che, sicuramente per un certo periodo, i beni di Mallamace provenivano da attività delittuose.

LAMEZIA E GLI AFFILIATI Tredici soggetti, tra cui capi ed esponenti di spicco della cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri, sono stati raggiunti dalle misure di prevenzione grazie all’attività del Gruppo dei finanzieri di Lamezia. Si tratta di Nino Cerra, Teresina Cerra, Angelina Torcasio, Pasquale Torcasio, Antonia Gualtieri, Giovanni Torcasio, Vincenzo Torcasio, Pasquale Carnovale, Antonio Gualtieri, Antonio Miceli, Teresa Torcasio, Pasquale Cerra, Luca Cerra. Al vertice della consorteria ci sono Nino Cerra, “Zu Nino”, 70 anni, capo storico, e sua sorella Teresina, 79 anni, che si è data attivamente all’attività della cosca dopo la morte dei tre figli, uccisi in altrettanti agguati tra il 2000 e il 2003, ha spiegato il colonnello Crisci. «Da allora lei, col fratello in carcere, ha fatto da anello di congiunzione tra gli affiliati in libertà e quelli detenuti». Un provvedimento colpisce Nino Cerra e i suoi figli Pasquale e Luca e un altro Teresina e i suoi congiunti. I delicati accertamenti patrimoniali eseguiti dalle fiamme gialle di Lamezia hanno dimostrato una sproporzione tra i beni sequestrati e i redditi dichiarati, rispetto anche al tenore di vita mantenuto dai soggetti indiziati. I redditi sono stati minuziosamente ricostruiti a partire dal 1979. I beni sequestrati ammontano a due milioni e mezzo di euro e comprendono: 15 appartamenti, un appartamento a Firenze, 3 terreni agricoli, un compendio aziendale e con sede a Firenze, un’attività imprenditoriale di movimento terra a Lamezia, quote di una società nel settore call center, 14 autoveicoli, un acquascooter.

Alessia Truzzolillo

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