Gio. Apr 18th, 2024

L’ex ministro dell’Interno correrà alle primarie per la segreteria del Pd. «I più deboli si sono sentiti abbandonati. Quello spazio è stato colmato dai nazionalpopulisti». E su Zingaretti aggiunge: «Non è un avversario, mai ne parlerò male»

Continua dopo la pubblicità...


IonicaClima
amaCalabria
Calura
MCDONALDAPP
InnovusTelemia
stylearredamentiNEW
E120917A-0A80-457A-9EEE-035CEFEE319A
FEDERICOPUBB
CompagniaDellaBellezza00
previous arrow
next arrow

 Marco Minniti si candida alla segreteria del Pd. «Ho deciso di mettermi in campo perché considero la mia una candidatura di servizio. Di una persona che ha ricevuto tanto dal suo partito, dalla sinistra e che sente ora di dover restituire qualcosa», spiega l’ex ministro dell’Interno in una intervista a Repubblica. E sottolinea: «Io non sono lo sfidante renziano. In campo c’è solo Marco Minniti». «Essendo stato tra chi non ha esagerato nel lodarlo quando era al potere – dice dell’ex presidente del Consiglio – non ho alcun bisogno di prenderne le distanze. Renzi ha perso e si è giustamente dimesso assumendosi responsabilità che vanno anche oltre le sue. Il tema ora non è più questo, ma come salvaguardare il progetto riformista. Connettere il riformismo al popolo». Quanto a Nicola Zingaretti, il suo rivale nella corsa, Minniti afferma: «Non è un avversario, mai ne parlerò male. Serve un patto: chi vince avrà la collaborazione di tutti. Questa è la sfida del Congresso. Io non cerco scorciatoie». L’obiettivo di Minniti è la «sconfitta del nazionalpopulismo», possibile «solo si riesce a parlare con la società italiana. Va ricostruita una connessione. Serve un Congresso che parli all’Italia, non un regolamento dei conti interni». «Parliamo – sottolinea, riferendosi a chi gli ha chiesto di candidarsi – di 550 sindaci che hanno firmato un appello. Rappresento questa parte del partito e non un equilibrio correntizio. Se non ci fosse stata questa richiesta da parte di tanti eletti, non mi sarei reso disponibile». L’ex ministro dell’Interno rivendica «le politiche riformiste» del Pd: «Non abbiamo risposto a due grandi sentimenti: la rabbia e la paura. Non si può rispondere a chi ha perso il lavoro con la freddezza delle statistiche. Dicendogli che l’occupazione cresce. Così come non si può dire al cittadino che ha subito un furto in casa, che i reati diminuiscono. C’è bisogno della sinistra riformista. I più deboli si sono sentiti abbandonati. Anzi, addirittura biasimati. Quello spazio è stato colmato dai nazionalpopulisti. Basta vedere quel che è accaduto nelle nostre peri ferie». Servono «otto parole chiave: sicurezza e libertà, sicurezza e umanità, interesse nazionale e Europa, crescita e tutele sociali» e «senza l’Ue – che va cambiata profondamente – non si affrontano le questioni poste dalla globalizzazione. Una grande Italia in una grande Europa». Alleanza con chi? «Un campo ampio. Con pezzi di società, con queste azioni di cittadinanza che abbiamo visto a nascere a Roma e a Torino”, mentre una discussione su una possibile intesa con i Cinque stelle può essere fatta «solo dopo che questa maggioranza nazionalpopulista verrà sconfitta nel Paese. I grillini stanno vivendo un’eclissi». Cambiare nome al partito? «Non serve. Semmai dobbiamo unirlo, ricostruirlo e cambiarlo profondamente. Ora sembriamo una confederazione di correnti. E una confederazione di correnti non può vincere».

 
Print Friendly, PDF & Email