Gio. Apr 18th, 2024

“Dimostrare che il futuro non è già scritto”

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Negli ultimi vent’anni il tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha processato per reati di associazione mafiosa, omicidio e tentato omicidio oltre cento minori, molti dei quali sono stati poi uccisi nel corso di faide familiari o – divenuti maggiorenni – sono ora latitanti o sottoposti al regime carcerario duro dell’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario; nel 2019, il medesimo tribunale per i minorenni è ancora impegnato a giudicare per gravi reati i figli di coloro che erano stati processati negli anni novanta, tutti appartenenti alle storiche “famiglie” di ‘ndrangheta del territorio.
È l’amara conferma che la cultura di ‘ndrangheta si eredita e che da più di un secolo le storiche “famiglie” della provincia di Reggio Calabria mantengono il potere sul territorio mediante
l’indottrinamento criminale dei figli minorenni. Fin da piccoli i componenti di queste “famiglie” respirano l’odio, sono addestrati all’uso delle armi, alla brutalità e all’uso della forza anche
nei confronti dei familiari più stretti, quando trasgrediscono le regole. I minori hanno spesso visto uccidere i loro padri, fratelli, parenti. In questi casi, secondo il codice d’onore mafioso,
deve scattare la vendetta, perciò violenza richiama violenza. In tali contesti anche le scelte più intime (fidanzamenti, matrimoni) sono condizionate dalla “famiglia” e spesso diventano un modo
per suggellare sodalizi criminali e, talvolta, per costruire delle vere e proprie prigioni culturali. Il carcere è una situazione che molti ragazzi mettono in conto di affrontare. La reclusione è considerata un attestato di professionalità da esibire ai propri coetanei in libertà e, soprattutto, ai capi delle organizzazioni criminali. Però, dietro l’orgoglio dell’appartenenza alla “famiglia”, per
questi ragazzi si nasconde una realtà ben più triste. Sono giovani emotivamente soli, senza un padre con il quale condividere la quotidianità, perché è stato ucciso, è in carcere o è latitante.
La “famiglia”, che è così pervasiva nel garantire certezza e regole, ignora quella che è la profonda sofferenza di questi ragazzi, che sono rassegnati ad una vita già segnata e provano un forte senso
di angoscia per loro e per i loro familiari, che viene fuori nei sogni, spesso popolati da incubi, in cui ci sono irruzioni dei carabinieri, sparatorie, scene di guerra, situazioni in cui il minore deve attivarsi per salvare se stesso o un congiunto da un pericolo incombente.È una drammatica sequela ben nota ai giudici minorili di Reggio Calabria, che hanno visto sfilare nell’aula del tribunale per i minorenni molti sfortunati ragazzi che potevano aspirare ad un futuro diverso e hanno ben chiaro un assunto: la ‘ndrangheta provoca sofferenza non soltanto all’esterno, ma soprattutto all’interno delle stesse “famiglie”. Per questi motivi il tribunale per i minorenni di Reggio Calabria dall’anno 2012 sta adottando – in stretto coordinamento con la Procura della Repubblica per i Minorenni, con la locale Procura Antimafia e con il supporto dell’associazione Libera – provvedimenti civili di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale. Tali misure – che nei casi estremi comportano il temporaneo allontanamento dal contesto familiare e territoriale – si prefiggono l’obiettivo di fornire agli sfortunati ragazzi delle ‘ndrine adeguate tutele per una regolare crescita psico-fisica e, nel contempo, la possibilità di sperimentare orizzonti sociali, culturali e psicologici alternativi al contesto di provenienza. Dimostrare che il futuro non è già scritto e che si può essere protagonisti della propria vita è la finalità del progetto, nella consapevolezza che la ‘ndrangheta appare un destino inesorabile a chi nasce e vive in certe realtà familiari. L’obiettivo ultimo è quello di rendere tali giovani “liberi di scegliere”. L’orientamento giurisprudenziale del tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha inoltre intercettato un insperato bisogno: la richiesta di aiuto e la sofferenza di molte donne. Un numero rilevante di madri – dopo una prima fase di aspra opposizione – non oppongono più resistenza, nella speranza di salvare i loro figli da
un destino di morte o carcerazione. Imprevedibili le evoluzioni che si sono registrate negli ultimi anni. Proprio nei locali del tribunale per i minorenni, alcune madri hanno iniziato percorsi di collaborazione con la giustizia, sperando in una vita migliore. Altre donne si sono presentate per chiedere, talvolta in segreto, di allontanare i loro figli. Altre ancora, espiata la pena per gravi reati, hanno sollecitato un aiuto per ottenere una sistemazione logistica e un lavoro fuori dalla Calabria al seguito dei figli già “tutelati” dal tribunale: supporto fornito da associazioni di volontariato come “Libera”. In Calabria, per molti ragazzi e per molte donne, il tribunale per i minorenni non è più un’istituzione nemica, ma l’ultima spiaggia nel mare dell’illegalità, che è fonte di morte, carcerazione e, comunque, di sofferenza.
Roberto Di Bella
Presidente del tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria

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