Ven. Apr 19th, 2024

Un anno fa 500 cittadini scrissero alle autorità chiedendo di rinunciare alla democrazia

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Fra tutti i comuni in cui si voterà il 26 maggio, San Luca – borgo di poco più di 4000 mila abitanti, molti dei quali residenti nel Nord Italia o all’estero – è quello in cui l’elemento simbolico è più forte e dove un passo falso potrebbe comportare anche conseguenze che vanno ben oltre la Regione Calabria. Teatro per decenni  delle faide e dello stragismo ‘ndranghetista, il paese dell’Aspromonte che ha dato i natali a un grande intellettuale  come Corrado Alvaro rischia di andare elettoralmente in bianco anche questa volta. In città si dà per certo che nessun partito presenterà una propria lista. Nonostante la cittadina sia stata teatro di infinite quanto stucchevoli e costose passerelle di potenti come quelle, tra gli altri, di  Maria Elena Boschi e di  Marco Minniti, e nonostante il capo della commissione antimafia sia il calabrese Nicola Morra, nessun partito ha intenzione di presentare una lista, e men che meno i 5 Stelle che  hanno eletto una vagonata di deputati e senatori.

San Luca va bene per conquistare titoli e benemerenze mediatiche, ma quando si tratta di metterci la faccia,  la politica (così come  certa antimafia) se la dà a gambe levate. Un segnale terribile per un paese (e una regione intera) precipitato in una crisi profondissima, nel quasi totale silenzio dell’universo mediatico. La vicenda di San Luca è la materializzazione plastica del fallimento dello Stato. Qualche meritevole colpo l’ha dato il Ministro degli Interni Matteo Salvini che, a San Luca, ci è andato più volte, dichiarando nell’agosto scorso che «qui si deve votare. Lo Stato non può consentire che ci siano zone affrancate dalla democrazia».

Parole sante, ma il tema San Luca è stato completamente rimosso dal segretario regionale del suo partito, quel Domenico Furgiule interessato molto più all’imminente campagna elettorale per le regionali piuttosto che immischiarsi nelle complicate  vicende di San Luca. Non pervenuta Forza Italia, ormai in mano a un “clan” – si fa per dire – di cosentini che hanno deciso di silenziare politicamente e non solo la zona di Reggio Calabria, paradossalmente la città più popolosa ma meno influente, facendo asse in questo  con la Lega del lametino  Furgiule.

In questo contesto, è sceso in campo già dal maggio scorso il massmediologo Klaus Davi. Più per protesta verso un establishment politico e giornalistico che «ha deciso di ammazzare definitivamente il Sud e in particolare la Calabria» che per brama di potere. Gli viene riconosciuto il merito di essere riuscito a portare alla ribalta nazionale la questione grazie ai suoi continui interventi nei talkshow di Rai e Mediaset, ma la sua lista rischia persino di non ottenere neanche  le 30 firme necessarie per concorrere alle prossime elezioni.

Il perno della vicenda è Bruno Bartolo, apprezzato animatore culturale del comune aspromontano e consigliere di amministrazione della Fondazione Corrado Alvaro: proprio in questi giorni ha annunciato di voler scendere in campo, ma non in prima persona. Se la sua lista dovesse prendere forma allora anche Davi potrebbe sperare di tornare in corsa, visto che con due liste la necessità del quorum verrebbe meno (quindi Bartolo avrebbe tutto l’interesse a competere con Davi) e, a quel punto, anche se i votanti fossero pochi, basterebbero comunque per indicare un nuovo sindaco.

Il rischio concreto, secondo molti, è  che ancora una volta  non si voti neanche a questo giro . Un fatto triste, terribile considerando che il sindaco manca da ben cinque anni. Ma un evento simile getterebbe una luce opaca non solo sui politici e quel che resta dei partiti calabresi che ne uscirebbero con le ossa rotte, ma inevitabilmente anche su tutte le istituzioni, demandate a promuovere i valori democratici ma incapaci di guidare il comune fuori da una impasse infernale.

L’attivismo mediatico di Davi rischia di proiettare la vicenda sui media nazionali e la brutta figura, dunque, sarebbe generale. Ne è consapevole anche il prefetto di Reggio Calabria Michele Di Bari, uomo di polso, reduce da un personale successo grazie allo sgombero indolore della tendopoli di Rosarno  dove hanno vissuto per anni in condizioni vergognose centinaia di migranti. Ma almeno questa volta è escluso  (Salvini non gradirebbe….) che si dovra’ assistere a  iniziative grottesche come quelle dello scorso anno. Come segnalato sarcasticamente da Giulio Golia delle Iene in un servizio ancora oggi fissato nell’immaginario del web  «500 cittadini hanno scritto allo Stato italiano per fare in modo che si rinunci alle regole democratiche». È accaduto proprio questo. Nessuno si è indignato per un fatto senza nessuna logica istituzionale : non un pm della Repubblica, non gli intellettuali, non i politici. Ci sono voluti i giornalisti delle Iene. Va detto : queste ambiguità sono molto frequenti in Calabria, si alimentano di un cono d’ombra nel quale non sempre chi dovrebbe rappresentare l’interesse pubblico sta dalla parte giusta. Il vero dramma della Calabria, forse più della Ndrangheta.

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