Ven. Mar 29th, 2024

Articolo di Liliana Rosano tratto da www.lavocedinewyork.com

Il versatile “philantrepreneur” calabrese, è dal 2003 a Seattle, dove ha creato il centro sportivo OSA con cui vince ogni giorno la partita della vita

Nato a Locri, studi a Firenze, visionario e coraggioso, Giuseppe Pezzano si confronta e sperimenta in moltissimi campi: dalla telefonia, all’istruzione, la cultura, il calcio e gli hotel. Col successo avuto a Seattle crea questo ponte tra l’Italia e gli Stati Uniti: “Non mi interessa il business in se ma la capacità di raggiungere obiettivi che creino sviluppo, opportunità, scambio di relazioni e progresso… Nel 1989 mio zio venne ucciso davanti alla sua concessionaria perché non voleva cedere alle richieste di estorsione. Avevo 15 anni e quell’ evento mi ha segnato e cambiato per sempre. Oggi, di quella Calabria onesta che mio zio rappresentava, fatta di duro lavoro, sacrificio, passione e onestà, ne vado fiero e orgoglioso”

Ama definirsi un philantrepreneur, e più che a Bill Gates o Steve Jobs si ispira a Richard Branson della Virgin, con gli occhi e iI fiuto per gli affari in moltissimi e svariati settori. Oltreoceano è conosciuto come l’italiano che sta contribuendo a far  apprezzare il calcio agli americani mentre in Italia è balzato agli onori della cronaca per aver riportato in Nord America la Fiorentina in tournée, fatto sbarcare un giocatore importante come Marco Di Vaio e, nel 2013, aver dato il giusto lustro al calcio femminile italiano, grazie alle diciannove giocatrici italiane che ha voluto nella sua squadra.

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A soli quarantacinque anni, Giuseppe Pezzano sembra aver bruciato velocemente tutte le tappe, vantando un curriculum da ottuagenario. Tutto inizia dalla sua Calabria, da Locri, dove è nato e cresciuto, in una terra difficile ma che gli ha insegnato molto valori  con punti di riferimento solidi. Una tappa intermedia a Firenze, prima di abbracciare a piene mani il sogno americano a Seattle.

Visionario e coraggioso come il padre, Giuseppe si confronta e sperimenta in moltissimi campi: dalla telefonia, all’istruzione, la cultura, il calcio e gli hotel.  E molti ancora quelli in cui vuole investire. A stargli a cuore non è il business ma la capacità di creare e supportare questo ponte tra l’Italia e gli Stati Uniti attraverso strumenti come il calcio e gli scambi culturali.

Un ponte che si alimenta di nuovi progetti, di esperienze sul campo che portano ad aperture al mondo con la speranza che le giovani generazioni italiane apprendino il meglio del modello americano, e gli americani conoscano di più il nostro paese. Tante sono le soddisfazioni, dice Giuseppe. Ho fatto tanto anche per il mio paese e ora voglio godermi i risultati e vedere più riconoscimenti nella mia Italia.

Da giovane tifava per la Reggina mentre oggi il suo cuore batte per il suo club OSA Seattle Fc.

Sulla  possibilità di investire in una squadra italiana, Pezzano pensa che oggi il calcio sia troppo complesso per investire. Servono molte competenze e presenza fissa: “Il mio obiettivo non è il business ma dare opportunità ai ragazzi affinché facciano esperienza in un paese straniero e allarghino i propri orizzonti portando a casa modelli nuovi che possano migliorare la situazione esistente”.

Dalla telefonia al calcio, passando per gli hotel e i servizi culturali. Sono diversi i campi che rientrano nelle sue attività di business e fanno di lei un imprenditore  moderno capace di confrontarsi in diversi settori. Partiamo però dalle origini di tutto questo. Dalla Calabria dove è nato e cresciuto e poi Firenze.

“Sono nato e cresciuto a Locri, in Calabria. Una terra difficile ma proprio per questo capace di produrre storie interessanti per reazione e sopravvivenza all’ambiente duro. Mio padre, un militare, docente e allo stesso tempo imprenditore (la famiglia Pezzano è una delle prime in Calabria ad aprire le scuole-guida. N.d.A) era un visionario e guardava sempre avanti. Da lui ho ereditato la passione e la dedizione al lavoro, l’onestà e il vedere sempre oltre. Firenze è la mia città di adozione, dove ho studiato legge ma anche quella che mi ha aperto al mondo con il suo respiro internazionale. E’ stato durante i miei studi in giurisprudenza che ho capito che il lavoro di avvocato non sarebbe diventata la mia professione. Era forte già in me l’esigenza di esplorare e vedere il mondo e soprattutto di creare qualcosa di nuovo”.

Tutto inizia con la telefonia e un internet point a Firenze. Correva l’anno 2000 e cominciava l’era degli internet point nelle città italiane.

“A Firenze c’erano molti studenti americani che erano un pò in balia della disorganizzazione e della mancanza di servizi. Ho capito subito il potenziale del mercato e ho aperto un internet point offrendo agli studenti stranieri servizi di telefonia mobile, grazie anche alla mia passione per la tecnologia. Come ogni MVNO (mobile virtual  network operator), ero un gestore che comprava traffico telefonico dai gestori principali e lo rivendeva con un proprio marchio ai clienti diretti.  Nel giro di qualche anno, quella che in Italia era una bella realtà aziendale, quando mi sono trasferito a Seattle è diventata la PicCell Wireless con 100 dipendenti, clienti e servizi di customer care in oltre 25 paesi, sempre con l’obiettivo di assistere con la telefonia mobile gli studenti stranieri nel mondo. Nel 2009, ho ceduto la Picell Wireless ma da quella esperienza sono nate altre mie visioni imprenditoriali e progetti”.

Come la EduAssistance, e la EduItalia, concepite sempre con l’obiettivo di offrire assistenza e servizi agli studenti stranieri ma evolute poi in qualcosa di più grande.

“La EduAssistance è una società di servizi ed è nata a Firenze nel 2000 da un’esigenza pratica che vivevo quotidianamente a contatto con gli studenti di altri paesi: la mancanza di servizi, che fossero di housing, di disbrigo pratiche, di lingua, di assistenza sanitaria. Una vera e propria piattaforma, la prima, a servizio delle università e dei programmi di studio all’estero che negli Stati Uniti sono molto comuni. Dalla sua costola nasce nel 2005 EduItalia, una associazione composta dalle scuole di lingua e università con programmi per stranieri, che promuove la cultura italiana nel Mondo ai provider, agenzie, study abroad programs dei college (proprio in questi giorni siamo  in India per una fiera a rappresentare l’Italia). Tutto questo con il grande valore di intercettare studenti internazionali , soprattutto americani ma non solo e farli arrivare in Italia invece di andare in altri stati molto più attenti a questo fenomeno di nicchia, generando importanti flussi economici (basti pensare ai ristoranti, negozi locali bars etc con visite dei genitori ed amici durante la loro permanenza)”.

Nel 2003, il trasferimento americano è ormai inevitabile a supporto delle  sue visioni imprenditoriali che hanno bisogno di un respiro diverso. Perché ha scelto Seattle e non New York?

“Per me è stato un passo doveroso, quello di andare oltreoceano. Non solo perché lavoravo con personale americano ma perché avevo capito che ad Ovest stava la nuova frontiera e non più a New York. Non a caso Seattle, dove c’è la sede di Microsoft, Amazon, Boeing, Starbucks, e ci si è sempre proiettati avanti, in una dimensione nuova, ricca di tecnologia e ricerca, diversa da quella della costa orientale degli Stati Uniti”.

Prima di arrivare al calcio c’è anche un altro settore nel suo portfolio imprenditoriale: gli hotel.

The Art Inn hotel esplora un settore a me molto caro, quello del design e della ricettività. Ho voluto un concetto di boutique hotel che richiamasse la classe e l’eleganza italiana dal respiro internazionale. Sono stato tra i primi- e qui ritorniamo alla mia visione anticipatoria nei tempi- ad aver creduto nella ripresa del Portogallo e nella rinascita attraverso la nuova generazione di portoghesi. Ho visto dinamiche in Portogallo che non ci sono in altri paesi europei e sono stato tra i primi ad investire da quelle parti e ancora oggi ho uno sguardo  particolare verso questo paese”.

Molto di più di un semplice imprenditore. Lei stesso si è definito un “philantrepreneur”.

“Un visionario, un filantropo, un appassionato. Non mi interessa il business in se ma la capacità di raggiungere obiettivi che creino sviluppo, opportunità, scambio di relazioni e progresso. Mi piace seguire i progetti dall’inizio alla fine, dal disegno alla realizzazione e soprattutto mi piace vedere la possibilità concreta di raggiungere i risultati. Un visionario sì ma anche molto pratico. I soldi non sono il mio obiettivo quanto la capacità di creare e costruire un ponte tra gli Stati Uniti e l’italia”.

E veniamo al calcio, sua grande passione che si è trasformata in un progetto imprenditoriale importante che l’ha fatta conoscere in America e in Italia,  con  il merito di aver portato il calcio italiano dall’altra parte dell’oceano. Iniziamo dai campi della sua Locri…

“Sono flglio di quella generazione che ha avuto la fortuna di crescere anche nei campi di calcio e di giocare a pallone per strada.Il calcio è sempre stata la mia grande passione sin da quando giocavo nella Locri e anche quando studiavo a Firenze ho continuato a  giocare tra dilettanti. Nel 2008, ho acquisito una squadra dilettantistica, il Fiesole Caldine in Toscana, dove in tre anni ho vinto due campionati passando dalla promozione alla D. In quegli anni ho cominciato a tessere le relazioni e gettare le basi per un ponte Usa-Italia nel mondo del calcio,  anche tra professionisti. Sono stato  il primo a portare un giocatore importante come Marco Di Vaio nelle nuova era Mls di Beckham!”

E nel 2010 ho portato la Fiorentina in tournée in Nord America, assente da anni, con l’ allenatore Cesare Prandelli.

“Sono sempre stato dell’idea che lo sport è prima di tutto cultura, strumento di integrazione e diffusione di valori sani. Per questo ho collaborato attivamente alla costruzione della Fiorentina School, la prima ad indirizzo liceo scientifico sportivo, nata con l’obiettivo di dare una buona istruzione ai ragazzi che spesso rimangono senza contratto nel mondo del calcio.

Con l’OSA, l’Olympic Soccer Academic da lei fondata nel 2008, corona un sogno e si lancia in un progetto molto ambizioso.

“L’OSA ha per me un valore molto importante che stringe il cerchio sul mio ruolo di imprenditore italiano negli Stati Uniti: creare un ponte di scambio fondato sullo sport, in questo caso sul calcio. Si tratta di una sorta di accademia sportiva a Seattle, con strutture e staff di alto livello dove i ragazzi italiani hanno la possibilità di confrontarsi con un mondo diverso, apprendere tecniche nuove, aprirsi la mente a nuovi orizzonti grazie al fatto di essere a Seattle, una città dalle grandi risorse. Il ritorno da questa esperienza oltreoceano diventa per loro risorsa, sia professionale e tecnica, calcisticamente parlando, ma anche umana e di mondo. Voglio che i ragazzi italiani vedano come funzionano le cose nel sistema americano e siano stimolati da questo ambiente vivace. Allo stesso tempo, i ragazzi americani hanno la possibilità di andare a studiare in Italia e giocare a calcio. Il ponte dicevamo, fondato sullo sport come cultura e strumento di apertura al mondo”.

In tutto questo come riesce a fare business?

“Non sempre ci guadagno. Anzi. La passione però è troppa e va oltre le logiche di mercato. Tante sono le soddisfazioni. Attualmente il mio club, nato nel 2013,  l’Osa Seattle Fc è il club più importante a Seattle dopo il Seattle di Mls. In questa bella squadra c’è molta Italia, come il mio partner del club e technical director, Filippo Milano, professore all’Università di Washington. Ripeto, per me l’obiettivo più importante è portare qui a Seattle i ragazzi e le ragazze italiani e mostrare loro come funziona una città come questa sede di Amazon, Microsoft, Boeing e Starbucks oltre che di illustri centri medici e di ricerca. Confrontarsi con il mondo e vedere gli occhi con una prospettiva diversa ti aiuta a contribuire a cambiare il mondo. Ecco cosa voglio: che i ragazzi italiani che vengono qui tornando a casa dicono ‘proviamo a fare in modo diverso, facciamo come fanno in America’, seguendo esempi positivi e professionali”.

E’ suo il merito di aver acceso i riflettori sul mondo del calcio femminile, fino ad ora ignorato, e di aver portato  19 giocatrici italiane nella sua squadra con cui hanno conquistato il titolo. Per la prima volta ci siamo trovati a fare il tifo per delle giocatrici italiani oltreoceano. Come è esploso il fenomeno del calcio femminile?

“Ho iniziato ad osservare il mondo del calcio femminile nel 2010. Già allora mi affascinava la tecnica, diversa da quella del calcio maschile. Insieme all’aspetto tecnico, mi ha spinto un particolare: il calcio femminile italiano era ingiustamente ignorato. Nel 2013, le ragazze della mia squadra, l’ AC Seattle, di cui diciannove sono arrivate direttamente dall’Italia, in un team guidato  dal manager Fabio Cimmino e dall’ allenatore Antonio Cincotta (ex Fiammamonza) non solo hanno realizzato il sogno di giocare nella Women’s Premier Soccer League (Wpsl), secondo campionato statunitense dopo la Women’s Professional Soccer, ma anche quello di aver conquistato il titolo del raggruppamento Nord-Ovest del campionato Wspl. Oggi il calcio femminile finalmente ha un suo pubblico e la giusta visibilità. Ne è prova l’ultima partita dello scorso 24 marzo, Juventus vs Fiorentina, serie A di calcio femminile, che ha registrato un record di pubblico”.

Finalmente gli americani si accorgono del calcio. A casa nasce la passione e fuori gli americani fiutano affari, se si pensa al fatto che molte squadre sono di proprietà a stelle e strisce. Solo passione o anche business?

“Passione e business. La prima nasce nel pubblico, ed è iniziata con il fenomeno David Beckam quando è arrivato negli Stati Uniti. Da allora gli americani si sono appassionati al calcio e hanno iniziato a seguire i campionati inglesi e spagnoli, che rimangono ancora oggi i più popolari. Contemporaneamente, hanno anche fiutato che tutto questo genera  business, come dimostra la cordata statunitense proprietaria della Roma o il Bologna di proprietà dell’italo-canadese Joey Saputo. I ricchi americani, insomma, come i loro colleghi  russi, cinesi o arabi, hanno messo gli occhi sul calcio italiano. Siamo un paese in vendita e il business nel calcio fa gola”.

Non pensa che il calcio ridotto a business abbia perso tutto il fascino di una volta. Come vede l’Italia paese e Italia calcistica dall’America?

“Il calcio è specchio della società e io vedo l’Italia come un paese straordinario dall’immenso potenziale ma che non riesce a tutelare le proprie risorse, il proprio brand Made in Italy. Il calcio è attraversato da scandali perché la corruzione inizia dalla società. Io voglio riportare in vita un calcio sano fatto di passione e gioco tecnico, al netto di scandali e corruzione”.

Come è stato crescere a Locri per un visionario come Lei?

“Come tanti posti difficili in Italia e nel mondo, sicuramente la crescita è più complessa ma fatta di ricordi fantastici. Io ho trascorso la mia infanzia tra scuola e campi di calcio, tra il lungomare e il Centro Salesiani che all’epoca faceva un grandissimo lavoro, a dimostrazione sempre che se si vuole le cose si fanno a prescindere da chi li fa’. Senza poi mai dimenticare che Locri era ed è ancora potenzialmente  una perla del mare Ionio, che come tante parti del Sud Italia non vengono valorizzate al meglio! Vorrei ricordare che Locri ancora conserva  uno degli anfiteatri più belli ed affascinanti della Magna Grecia, che dovrebbe avere code interminabili, dove ai tempi dei greci sono state emanate le prime leggi scritte grazie a Zaleuco, primo giurista greco dell’occidente. Senza la storia non si costruisce futuro!”

Crescendo a Locri che idea si è fatto della ‘Ndrangheta?

“Era la sera del 20 marzo del 1989 quando mio zio, Vincenzo Grasso, il fratello di mia mamma, è stato ucciso davanti alla sua concessionaria a colpi di arma da fuoco perché non ha mai ceduto a nessuna richiesta di estorsione e ha sempre denunciato tutto continuando a lavorare con molta onestà e dignità. All’epoca avevo 15 anni ed ero in vacanza in Egitto con i miei e siamo stati costretti a rientrare non appena abbiamo appreso la notizia. E’ stato difficile per me capire a quell’età certi meccanismi e dinamiche ma di sicuro è stato un evento che mi ha segnato e cambiato per sempre. Oggi, di quella Calabria onesta che mio zio rappresentava, fatta di duro lavoro, sacrificio, passione e onestà, ne vado fiero e orgoglioso”.

Cosa farebbe oggi per i ragazzi di Locri  per aiutarli a sviluppare idee nuove e stimolarli in progetti interessanti?

“Il Sud risente ancora del problema storico e della differenza con il Nord. Dobbiamo comprendere che grazie a questa differenza forse si può creare sviluppo ed opportunità. Io immagino una Calabria che viva solo di turismo grazie alle sue naturali risorse piuttosto che centri di sviluppo e centri virtuali che potrebbero anche essere utili ma non sono la soluzione. Cito ancora il Portogallo che ha rischiato qualche anno fa il fallimento ma che oggi sta crescendo tantissimo grazie ai giovani portoghesi e alla voglia di cambiare. Quello che posso fare per la mia terra è dare stimoli e fare riflettere, attraverso la mia esperienza,  comunicare ai giovani di guardare sempre oltre, che l’opportunità sta dietro l’angolo e non dietro la “scrivania”. Che viaggiare e scoprire il mondo, non solo durante le vacanze, ti aiuta a tornare in Italia più forte, con idee e regole nuove, valide, da applicare con competenza e professionalità. Vivere all’estero, nel mio caso in America, significa anche  confrontarsi con realtà come Amazon, Microsoft dove da anni arrivano immigrati da altri paesi che sono diventati una risorsa di sviluppo del paese ospitante, grazie sempre di più alla tecnologia, all’inglese e internet, attraverso un processo di integrazione regolata. Per cambiare un posto, una mentalità bisogna fare le cose con un grande senso del dovere individuare e senso di responsabilità collettiva”.

Da italiano di formazione americana, che lezione ha appreso dagli Stati Uniti?

“Il senso del dovere, la dedizione al lavoro, la correttezza, sono valori che ho appreso da mio padre ma qui trovano terreno fertile e trasformano i sogni in realtà. Sono italiano nel cuore, di sangue ma di formazione americana”.

Come imprenditore e filantropo, si ispira più a Bill Gates o Steve Jobs?

“Più a Richard Branson della Virgin che ha investito in diversi settori ed è anche un filantropo. Il mio modello però rimane sempre mio padre: un grande visionario”.

Sembra strano che come imprenditore italiano non abbia ancora investito nel mondo del cibo.

“In effetti è vero. Gli italiani della West Coast, soprattutto qui a Seattle, sono di solito chef, ristoratori, medici, ingegneri ma di certo non fanno quello che faccio io. In molti danno per scontato che io lavori nel mondo della ristorazione, un settore che mi attrae ma che è molto complesso. Ho molte idee ma voglio essere cauto. Conoscendomi  so che non riesco a frenare la voglia di fare progetti nuovi”.

Quarantacinque anni e una carriera che un giovane italiano nel Belpaese si sognerebbe. Oggi qual è il sogno di Giuseppe Pezzano?

“Ho fatto tanto anche per il mio paese e ora voglio godermi i risultati e vedere più riconoscimenti nella mia Italia. Vorrei trascorrere più tempo con la mia famiglia, mia moglie Emily, americana che ho conosciuto a Firenze, e mio figlio Liam, otto anni che ama il calcio come io alla sua età. Visto il  mio modo di vedere il business, al di là del business stesso, sono molto coinvolti nei miei progetti e viaggiano spesso con me”.

Se oggi oggi avesse la possibilità di investire in squadra italiana da rimettere in piedi, dove vede del potenziale, dove investirebbe?

“Ci sono sicuramente tante belle realtà interessanti che aspettano di tornare al grande calcio come Lecce, Brescia, Palermo anche Catania. Ma oggi il calcio è troppo complesso per investire. Servono molte competenze e presenza fissa. Ma il mio obiettivo è un altro: il calcio come strumento di aperture verso il mondo non come mezzo per fare affari”.

Ma Giuseppe Pezzano per quale squadra tifa?

“Da giovane tifavo per la Reggina, la squadra della mia provincia, ora per il mio club OSA Seattle Fc!”

www.lavocedinewyork.com

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