Ven. Apr 19th, 2024
VENEZIA 12/03/19 - Conferenza stampa del procuratore Cherchi e dei vertici dei carabinieri e dell Gdf di Padova per operazione antimafia. ©Andrea Pattaro/Vision - Conferenza stampa del procuratore Cherchi - fotografo: ©Andrea Pattaro/Vision

Minacce, pugni, schiaffi, continue ingerenze ed estorsioni. Così la costola dei Grande Aracri in Veneto rendeva la vita impossibile agli imprenditori

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A capo dell’organizzazione ‘ndranghetista che operava in Veneto e che è stata stroncata dall’operazione “Camaleonte” (in alto la foto della conferenza stampa) c’erano, secondo la Dda di Venezia, Michele Bolognino, originario di Locri, 52 anni; Sergio Bolognino, originario di Locri, 51 anni; Giuseppe Richichi originario di Crotone, 40 anni; e Donato Agostino Clausi, originario di Crotone, 47 anni. Violenza, usura ed estorsione sono i reati ai quali questa costola della cosca “Grande Aracri” di Cutro aveva dato avvio nelle province di Padova e Venezia. Era Michele Bolognino, secondo l’accusa, che manteneva i rapporti con la cosca cutrese «sia per assicurarsi il benestare ed il riconoscimento dell’estensione della zona di operatività delle nuova articolazione, sia per ottenere la disponibilità di denaro contante da impiegare per i risanamenti aziendali». La cosca capeggiata da Nicolino Grande Aracri – che in Calabria è stata colpita da inchieste della Dda di Catanzaro quali “Kyterion” – forniva la forza intimidatrice del proprio nome e il denaro contante. Violenza, minacce e intimidazioni nei confronti degli imprenditori venivano demandate a Giuseppe Richichi; Francesco Bolognino, originario di Locri, 50 anni; Francesco Agostino, nato a Platì, 52 anni; Antonio Genesio Mangone, di Cariati, 54 anni; Stefano Marzano, originario di Locri, 47 anni; Rocco Devona, nato a Crotone 35 anni, e Mario Megna, nato a Crotone, 47 anni. Insediato nella provincia padovana dal 2012 il gruppo aveva lo scopo di assoggettare gli imprenditori alla cosca per piegarli ai propri voleri. Le estorsioni sono andate avanti fino al 2015.

MINACCE E SCHIAFFI «Guarda che se non vai dal notaio ti ci porto… o coricato o in piedi». Questa la minaccia che Sergio Bolognino aveva rivolto a un imprenditore per costringerlo a cedere le sue quote – il 50% di quelle della Sae D Groups srl – alla Signal srl i cui amministratori avrebbero acquisito l’ingiusto profitto di accaparrarsi le quote della Sae D Group. Ma l’intento finale di Bolognino era quello di appropriarsi in seguito della gestione finanziaria della società. Gli imprenditori della Sae, due fratelli, erano ridotti in stato di paura e soggezione. Le frasi rivolte minacciavano di ridurli «in piccoli pezzi» ovunque li avrebbero incontrati. In una occasione Michel Bolognino li aveva presi ripetutamente a schiaffi alla presenza dei suoi uomini Richichi e Sergio Bolognino. Lo scopo ultimo di queste umiliazioni e minacce, da parte dei fratelli Bolognino, era quello di conseguire le quote della Sae D Group.

L’INCUBO I Bolognino era diventati un incubo per gli amministratori della Signal srl, poi diventata GS Scaffalature e automazioni srl. Marito e moglie si sentivano ripetutamente rivolgere la frase: «Tu devi fare quello che dico io… se non fai quello che dico io ti spacco le gambe… Ti spacco la testa… tu e la puttana di tua moglie dovete lavorare per me e stare zitti… dovete compiacere la nostra famiglia». Lo scopo era quello di appropriarsi della gestione della Signal srl. Gli imprenditori si erano assoggettati tanto da permettere ai Bolognino di fare qualsiasi cosa, persino sostituire l’impresa di pulizie, la ditta di elettricisti, il rottamaio e il fornitore delle macchinette del caffè. La cosca era penetrata nell’azienda fino a dominare ogni settore. Gli imprenditori erano stati costretti a incaricare quale commercialista Donato Agostino Clausi, a nominare la sorella di quest’ultimo Mariangela Clausi, responsabile del personale, e la moglie, Raffaella Iannicelli, sindaco revisore dei conti. Sergio Bolognino era stato presentato ai dipendenti quale socio al 50%, aveva le chiavi di accesso dell’azienda che ogni mattina apriva e ogni sera chiudeva, e, quando era assente, a controllare l’andamento della società c’era Francesco Agostino. Ma Agostino non si limitava a controllare la ditta per conto dei Bolognino. Effettuava sopralluoghi nelle sede sociale dell’azienda, imponeva la sua presenza «dal chiaro contenuto intimidatorio» minacciando di non uscire dai locali della società se non avesse avuto i soldi per “prestazioni di manodopera presso la GS Scaffalature” per un importo totale di 16.834,12 euro. Quattro fatture che procuravano ad Agostino un ingiusto profitto per prestazioni fornite in favore dei Bolognino e comunque non confacenti alle esigenze e alle necessità dell’azienda. Con le casse della GS Scaffalature erano stati pagati 6000 euro per i mobili dell’abitazione di Sergio Bolognino.

«TI STACCO LA TESTA» Due ore chiuso nei locali della società sotto la minaccia «ti stacco la testa» con i fratelli Bolognino e Richichi che gli si strusciavano contro facendogli sentire il contatto di un oggetto che poteva essere un’arma, mentre il commercialista Agostino predisponeva le carte. Con il marito in quelle condizioni alla fine la moglie aveva sottoscritto una procura speciale irrevocabile nei confronti di Sergio Bolognino per cedere le quote della Gs Scaffalature per un valore del 50%. Dopo poche settimane marito e moglie avevano fatto sostituire le serrature della ditta per impedire l’arbitrario accesso in azienda ai fratelli Bolognino che già da tempo avevano posto in essere un serie di condotte volte ad appropriarsi della Gs Scaffalature. Ma questa “ribellione” aveva accesso l’ira dei fratelli contro il marito, bloccato ai lati e preso a pugni in faccia mentre due dipendenti accorsi a difendere l’uomo erano stati spintonati e schiaffeggiati. «Ti svito la testa… ti uccido te, tuo figlio, stermino la tua famiglia, non finisce qui», sbraitavano i Bolognino pur di farsi consegnare le nuove chiavi. Un intento non riuscito grazie all’intervento dei carabinieri del comando stazione di San Martino di Lupari, in provincia di Padova. L’incubo di diversi imprenditori veneti, le continue estorsioni, minacce, l’invadenza imposta, le percosse, sono finiti martedì con 33 misure di custodia cautelare eseguite da parte dei Carabinieri di Padova e della Guardia di finanza di Venezia.

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