Ven. Mar 29th, 2024

La testimonianza del pentito Pasquale Nucera nel processo “Ndrangheta stragista”. Il ruolo della P2 nell’evoluzione degli affari delle cosche e l’incontro a Villa San Giovanni in cui «’ndranghetisti e massoni hanno deciso di eliminare il giudice Scopelliti»

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È stato un affiliato operativo fra la Calabria, Milano e la Costa Azzurra, ma anche un pentito di rango. È grazie a lui che è stata scoperta la Laura C, quella nave militare piena di esplosivo affondata a inizio Novecento e diventata per decenni l’arsenale dei clan. Adesso Pasquale Nucera ha un’età che si fa sentire, è assente dal mondo dei clan da oltre 20 anni, ma il suo bagaglio di conoscenze è ancora prezioso perché nei cruciali anni Novanta era inserito ai massimi vertici dell’organizzazione. Ed è stato testimone diretto di contatti, incontri e affari che potrebbero gettare luce su pagine ancora oscure della storia del Paese, come quelle relative all’omicidio del giudice Scopelliti. Una questione – spiega, ascoltato come testimone al processo “’Ndrangheta stragista” – discussa in ambienti non solo criminali.

LA CATENA DELLA ‘NDRANGHETA Già negli anni Novanta infatti – racconta il pentito, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Giuseppe Lombardo – la ‘ndrangheta era divisa così: «La ‘ndrangheta si divide in Minore, Maggiore, Criminale. I livelli bassi non sapevano cosa facesse la Maggiore e la Maggiore non sapeva cosa facesse la Criminale. È una catena. Sopra c’è il Vangelo, che era un dono che si dava a chi aveva commesso anche un omicidio, ma anche chi aveva contatti con il mondo massonico. A questo quarto livello c’erano componenti di ‘ndrangheta ma anche di Cosa Nostra. Un mio parente, Turi Scriva, controllava il traffico di sigarette e conosceva molti palermitani. C’erano due fratelli, poi uno che aveva sempre macchine sportive, Tano Badalamenti. C’erano i Santapaola che avevano rapporti con i Iamonte». Nucera non è precisissimo. È stanco, più volte ripete di avere alle spalle diverse notti insonni ed un lungo viaggio, ma di cose ne sa. E molte. Anche su quel sistema occulto che frequentava e di cui stava per diventare organico poco prima di iniziare a collaborare.

L’OMBRA DI GELLI «Questo sistema – spiega – era talmente blindato che anche Gelli incorporava nella P2 un santista di ogni locale in modo da avere il controllo. A questo livello c’erano contatti con i servizi. Io ero vicino a quel mondo, ma poi ho iniziato a collaborare. Però conoscevo diversi componenti di quel mondo e vicini a Gelli, come Pazienza». Vecchio arnese dei servizi, quello di Franco Pazienza non è un nome sconosciuto nelle indagini di ‘ndrangheta. Come non lo è quello di Gelli, chiamato in causa persino dai primi pentiti anche in relazione ai moti di Reggio del Settanta o quell’attentato a Gioia Tauro rimasto senza colpevoli. E Nucera conferma. Nell’evoluzione e negli affari dell’èlite della ‘ndrangheta, Gelli ha avuto un ruolo.

INCONTRI E APPALTI «Ho conosciuto Gelli a Roma», racconta in aula il pentito. «Avevamo un appuntamento per gli appalti delle Ferrovie, il doppio binario che da Reggio andava fino a Saline. C’erano anche dei politici. Uno di loro era di Bocale, aveva una villa a Bocale e lo hanno ammazzato lì davanti. Ligato, l’onorevole Ligato. C’era anche qualche politico cosentino e della Piana di Gioia Tauro». La stanchezza passa fattura a Nucera e cancella i nomi di chi ha partecipato a quella riunione. «A questa riunione io sono andato per accompagnare qualcuno, con un politico del cosentino, un avvocato, e sono passati 40 anni», si giustifica.

ANDREOTTI ERA IMPORTANTE Magari completerà la prossima udienza, quando dovrà finire di rispondere alle domande del procuratore aggiunto e affrontare il controesame. Di certo, però, i nomi che ha iniziato a fare hanno peso specifico notevole nella storia del Paese. «Il ruolo di Andreotti – afferma – era molto importante. Erano arrivati talmente in alto che erano strategici anche per la politica. C’era un comitato d’affari che ad un certo punto si lega alla politica ed alla massoneria. Si occupavano di finanziamenti anche europei. Perché si fa riferimento ad Andreotti? Era la Democrazia cristiana e aveva rapporti con la Chiesa».

IL “METODO GELLI” Ma Gelli non era l’unico a volere e tutelare i rapporti con quell’èlite dei clan ben inserita in ambienti massonici. «Lo faceva la P2 – spiega Nucera – ma anche altre logge deviate, tutti mettevano un componente della cupola della ‘ndrangheta al proprio interno. E lo facevano anche i Servizi. In questo modo si gestivano i lavori, gli appalti, i voti, i posti di lavoro, i grandi affari anche di narcotraffico. Non ci va lo sgarrista. C’erano anche logge templari, legate al Vaticano. Sono formalmente associazioni benefiche, regolarmente iscritte in Prefettura». Quanto meno formalmente. Poi, come spiegato da altri pentiti, dietro lo schermo formale, garantito da bolla vaticana, si celano ben altri rapporti. E personaggi molto meno presentabili. «Ai cavalieri della Croce di Malta era legato anche Vittorio Canale, in Costa Azzurra». Lo storico ambasciatore dei De Stefano in Costa Azzurra era uno dei contatti di Nucera, all’epoca in fuga da un mandato di estradizione. «Lui stesso mi ha detto che era legato ai De Stefano e ai Libri. Una sera l’ho visto vestito con i paramenti e il mantello e lui mi ha detto che faceva parte dei Cavalieri della Croce di Malta. Erano massoneria deviata e dovevo andarci anche io, ma poi sono entrato in un altro ordine, di cui mio genero era padre fondatore».

«LIBERATE TOTÒ» Ma i rapporti con Canale non avevano puramente ragione logistica. Al contrario, Nucera era stato contattato dall’ambasciatore dei De Stefano per gestire una questione delicatissima, concertata ai massimi vertici di quel mondo che mette insieme mafie, massoneria e servizi. «All’hotel Phoenix di Montecarlo si svolse una riunione fra Canale, il figlio di Domenico Libri, Domenico Broccoletti del Sismi e un agente libico. Lo avevo incontrato al casinò di Montecarlo. Lui veniva a vendere benzina di contrabbando, che poi veniva distribuita nei distributori di Cosa Nostra e della ‘Ndrangheta. Lo so perché ho accompagnato Canale a questa riunione e Canale mi disse che Broccoletti e l’agente libico avevano chiesto a Canale di organizzare l’evasione di Riina dal carcere».

UN AFFARE MILIONARIO Un servizio assai complesso, ma ben retribuito. «Allo scopo – racconta – gli avevano dato una rata da 100mila dollari che dovevano servire ad assoldare 20 mercenari e a procurare un elicottero. mercenari da reclutare dovevano essere serbi. All’epoca io avevo rapporti con i mercenari perché nel ’90 c’è stata la guerra del Golfo ed io sono stato lì 22 giorni. Poi sono rientrato e sono andato a Belgrado. Io dovevo presentare a Canale Vinco, Bachilla, Luis e Alain, che erano mercenari serbi in Costa Azzurra che poi avrebbero dovuto gestire i contatti con la Serbia».

L’OMICIDIO SCOPELLITI Ma quello di Montecarlo non è stato l’unico incontro delicato a cui Nucera abbia assistito. «Ad un incontro a Villa San Giovanni – ricorda – ndranghetisti e massoni hanno deciso di eliminare il giudice Scopelliti. Me lo ha raccontato uno dei Iamonte. All’incontro di  Villa San Giovanni c’era il commercialista di Riina, Mandalari. C’erano gli Zito, dalla parte dei De Stefano, i Garonfalo, i Labate, i Iamonte, qualcuno della Piana, dei Piromalli, e uno della famiglia Rugolo. Mi hanno detto che è sceso anche Santoro, che era Bagarella, a sistemare la cosa. Questo Santoro era presente anche a Santa Margherita Ligure, ad un incontro che avevano chiesto i siciliani per sistemare l’affaire Barreca. Lì ero presente e “Santoro” diceva che avevano un problema con il maxiprocesso». E Scopelliti non era l’unico nel mirino. «Volevano uccidere il presidente Tuccio e ho avvertito la Dda. Su Scopelliti l’ho capito dopo. Avevano parlato di un magistrato di Villa San Giovanni. Nei primi mesi del 93, ho incontrato Vincenzo Iamonte che mi ha detto che il progetto dei fucili era stato abbandonato e bisognava fare come per Falcone».

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