Ven. Apr 19th, 2024

Con ogni probabilità il ministro sacrifica la nomina a commissario dell’Asp di Vibo del consulente e collaboratore della parlamentare Cinquestelle. Alla Camera scoppia l’inferno sul conflitto d’interessi che coinvolge la relatrice del “decreto Calabria”. E un’altra bufera s’intravede all’orizzonte, Candela (indicato per l’Asp di Cosenza) è indagato per presunto falso in atto pubblico

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L’immagine che rischia di essere la più riassuntiva alla fine la offre il deputato Della Vedova di Forza Italia. «Male del tutto ha fatto Nesci a precisare che Scaffidi è stato suo collaboratore a titolo gratuito. Peggio. Perché vuol dire che ora lo debbono pagare i calabresi. È come dire che siamo in presenza di un assegno posdatato… ».

Non c’è lo spreed in aula, nemmeno la Tav o il decreto sicurezza o immigrazione. C’è “solo” il “decreto Calabria” ma la Camera si infiamma come non mai in un mercoledì da “leoni”. Prende fuoco che è una bellezza e persino con il coinvolgimento in presa diretta, e con decibel alti, di pezzi da novanta dei partiti come Delrio, Lupi, Sisto, Fiano, Giachetti. Per non dire, ovviamente, dei calabresi. Una boglia la seduta del pomeriggio che il ministro Grillo non solo ha alimentato con l’improbabilità di un italiano poi in parte deriso («prima l’italiano ministro»). Quanto con il suo intervento a rimbalzare sul campo della lotta politica tutta calabrese la faccenda. Che solo calabrese non è mai rimasta invece e che è diventata in un solo giorno caso nazionale, capace di tenere i suoni alti della Camera per un giorno intero. Il caso di Gianluigi Scaffidi, collaboratore e consulente di Nesci (relatrice del “decreto Calabria”) indicato da Cotticelli (su evidente condizionamento dei deputati Cinquestelle locali) al vertice dell’Asp di Vibo. Città che ospita tra l’altro proprio il collegio elettorale di Dalila Nesci, eletta proprio qui. Il caso, come è noto, viene portato in aula sottoforma di tanica di benzina e con forma reiterata da Enza Bruno Bossio, deputata Pd. E prima ancora insinuato come condizioni proprio da Oliverio nel corso della sua audizione nella quale non solo si è chiamato fuori dalle nomine e da una condivisione sostanzialmente inutile, post mortem. Ma è andato oltre e ha gettato la pietra nello stagno. Nel decreto esistono due “violazioni”, poi tradotte ad personam evidentemente. Si possono anche pescare i commissari delle Asp al di fuori dell’elenco nazionale e si possono pescare anche se sono in pensione. E Scaffidi non è nell’elenco nazionale (insieme ad Alessi, indicato per l’Asp di Catanzaro) ed è pure in pensione. Ed è soprattutto, come dimostrano diversi articoli di stampa nonché sedute pubbliche in prefettura e conferenze stampa, collaboratore di Dalila Nesci. Da qui al doppio intervento “incendiario” di Bruno Bossio il passo è breve e da qui alla stessa ammissione di Nesci ancora più breve. «Sì – ha ammesso -. Scaffidi è stato mio collaboratore ma sempre a titolo gratuito». Apriti cielo, finché arriva Della Vedova con il suo «assegno posdatato emesso da Nesci e che ora devono pagare i calabresi con i loro soldi». Già, con i loro soldi. E nemmeno pochi perché nel decreto è previsto un emolumento standard a carico della Regione più una quota non banale aggiunta dalla struttura commissariale. E scoppia l’inferno nel dibattito. Letteralmente l’inferno. Finché proprio il ministro Grillo non riprende la parola e apre lo scenario chiave. «La nomina di Scaffidi non nasconde un conflitto d’interessi, che respingo. Ma io voglio bene alla Calabria e ci tengo al decreto per cui se è necessario “sacrificare” questo punto per andare oltre e affrontare così più serenamente la discussione si può fare». Tradotto dal gergo grillino applicato alle istituzioni, giù le mani da Nesci e che Scaffidi resti in quiescienza. Caso risolto? Macchè. Le opposizioni e il Pd soprattutto puntano al bersaglio grosso. La rimozione di Nesci da relatrice del decreto perché autrice e complice proprio del conflitto d’interessi. Che c’è tutto, ribadisce Giachetti per esempio. Ma anche con forza Jole Santelli, che ha insistito molto sul punto. E Wanda Ferro. È un fiorire continuo contro “il caso”. Chi nel merito, chi strumentalmente, chi usandolo come grimaldello contro i Cinquestelle «che dovevano portare la politica fuori dalla sanità e invece ce la impongono di diritto e alla grande». C’è persino la voce alta di Delrio in un’aula della Camera che scopre che si può fare a cazzotti anche sulla Calabria. E punta dritto al ministro Grillo che c’ha provato a gettarla in caciara da lotta politica calabrese. «Qui ministro non c’entra niente il presidente della Regione che è del Pd. Che difendo. Lei cerca di sfuggire al quesito, al vero problema. Se la sente di firmare la nomina a capo di un’azienda sanitaria uno che è collaboratore di un deputato eletto proprio nella città di quell’Asp?». Quando Delrio si inalbera Grillo non aveva ancora ripreso la parola, non aveva ancora “scaricato” Scaffidi. Perché il ministro nel frattempo, magari poco esperta e dall’italiano conflittuale ma mica fessa, due conti se l’era già fatti in tasca. Qui puntano al piatto grosso, puntano a far saltare Nesci se non tutto il decreto e quindi la nostra faccia, avrà pensato. Meglio sacrificare “solo” Scaffidi. Così come, del resto, ha poi fatto. Ma è presto per dire se questo basterà alle opposizioni. La battuta che circola è che non è liberandosi del corpo del reato che ci si libera del “reato”. Staremo a vedere. Certo è che questo “decreto Calabria”, con nomine appresso ai vertici della sanità, le sta passando tutte. E altre se ne intravedono all’orizzonte. Nel mirino si scorge già un altro caso, che stavolta riguarda Antonino Candela, indicato per l’Asp di Cosenza. Nel 2017 la procura di Palermo lo iscrive nel registro degli indagati con l’accusa di falso in atto pubblico per i lavori all’ospedale di Palazzo Adriano. Non è dato sapere a che punto stanno ora le “carte”. Più facile scommettere che se ne parlerà di più al prossimo giro…

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