Ven. Apr 19th, 2024

Arriva una svolta nell’inchiesta avviata dalla procura di Roma in seguito al sequestro degli elenchi degli iscrittialle logge di Calabria e Sicilia delle associazioni massoniche, operato dalla Guardia di Finanza su sollecitazione della Commissione parlamentare della passata legislatura. 

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Nell’ottobre del 2017 il Grande Oriente d’Italia (Goi) e il Gran Maestro Stefano Bisi avevano sporto denuncia nei confronti degli ex vertici della commissione antimafia chiedendo alla magistratura di valutare la liceità del provvedimento e oggi il gip Valerio Savio si è pronunciato bocciando l’opposizione delle persone offese.

È stata così archiviata l’inchiesta avviata nei confronti dell’Antimafia, Rosy Bindi e Claudio Fava, e dei componenti Davide Mattiello (del Pd) e Mario Michele Giarrusso (del M5s).

I quattro parlamentari erano stati iscritti sul registro degli indagati per il reato di diffamazione, mentre solo la presidente della Commissione Bindi, assistita dall’avvocato Giorgio Beni, rispondeva anche dei reati di abuso d’ufficio e rivelazione del segreto d’ufficio.

LE MOTIVAZIONI DEL GIP

Il gip Savio ha spiegato che “nelle dichiarazioni ‘incriminate’ degli indagati si fanno correlazioni in generale tra il mondo massonico ‘deviato’ e la mafia siciliana ma non si chiama mai in causa specificamente né Bisi né il Goi e che ogni assimilazione tra Goi e ‘massoneria deviata’ operata dai media non può essere imputata agli stessi indagati”.

Nessuna ipotesi di abuso d’ufficio, poi, può essere attribuita a Rosy Bindi perché “la decisione di procedere a perquisizione e sequestro presso la sede di diverse istituzioni massoniche per acquisire gli elenchi di appartenenti alle logge calabresi e siciliane, anche cessate dal 1990 in poi, è frutto di un provvedimento adottato all’unanimità dei componenti della Commissione (25 deputati e 25 senatori)” e non può dipendere dalla volontà dell’allora presidente o di altri singoli componenti.

Per il giudice, inoltre, “gli elenchi di una associazione privata (massonica o meno) non sono oggetto di ‘segreto’ giuridicamente opponibile all’autorità giudiziaria, e quindi anche ad una Commissione Parlamentare di inchiesta, quando, come in questo caso, la loro acquisizione sia funzionale e coerente con le finalità di una indagine volta ad accertare (anche) fatti di possibile rilevanza penale”.

E non ci sono, infine, neppure gli estremi per contestare una rivelazione del segreto a Rosy Bindi o arrivare a identificare il colpevole, per il fatto che un’agenzia di stampa aveva dato notizia delle perquisizioni nove minuti prima dell’inizio dell’attività investigativa.

Per il gip, quel decreto di perquisizione, oltre che ai 50 componenti dell’Antimafia, era noto dal momento della sua deliberazione anche al personale amministrativo e di segreteria e lo stesso atto è stato consegnato alla Finanza, e quindi a un certo numero di militari, “in un tempo variabile tra 30 e 60 minuti prima dell’inizio delle operazioni”.

cn24tv.it

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