Gio. Mar 28th, 2024

L’ex boss della Sacra Corona Unita è stato ascoltato nel processo per gli attentati messi a segno dai clan negli anni Novanta: «Parlai al telefono con Andreotti per “aggiustare” un processo»

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È stato il giorno dell’audizione di Marino Pulito al processo “’Ndrangheta stragista” che si celebra a Reggio. Boss della Sacra Corona Unita e storico luogotenente dei fratelli Modeo ma storicamente in ottimi rapporti con i calabresi, il collaboratore è stato un testimone diretto di quella fase, ancora non del tutto raccontata della storia d’Italia, che ha visto mafie, servizi, massoneria ed eversione nera fare dell’eversione un metodo, pur di non perdere neanche un grammo del potere accumulato nei decenni dello scontro fra i due blocchi.
Una strategia passata anche per la stagione degli attentati continentali, inclusi quelli di Reggio Calabria costati la vita brigadieri Fava e Garofalo e gravi ferite ad altri quattro militari, per i quali oggi i boss Giuseppe Graviano e Rocco Filippone sono a processo come mandanti.
IL METODO DELL’EVERSIONE La fase di cui può in parte parlare Marino è precedente alla stagione di sangue oggi al vaglio della Corte d’Assise di Reggio Calabria. Ma ne è stata la necessaria premessa. E soprattutto mette bene in chiaro quali fossero gli attori che si muovevano sulla scena. All’epoca – racconta il pentito – «mi stavo dando da fare per aggiustare un processo in cui erano stati condannati i fratelli Modeo». Un testimone era stato avvicinato e convinto ad accusare un boss già passato a miglior vita dell’agguato, ma era necessaria una “spinta” per ottenere la revisione del processo. «Avevamo provato diverse strade, eravamo andati anche dai Cordì in Calabria, ma senza successo».
L’AIUTO ESTERNO Una speranza a Pulito la da Vincenzo Serraino, «uno che non aveva a che fare con la criminalità, ma che era diventato mio amico. L’avevo conosciuto perché era uno degli organizzatori dello Zecchino d’oro». Ma anche un piduista, in contatto con il Maestro Venerabile della P2, Licio Gelli. «Non sapevo cosa fosse quest’organizzazione e non mi interessava. Volevo solo trovare una strada per aggiustare quel processo» dice il pentito. Tramite Serraino, Gelli chiede aiuti per reperire quattromila voti in Calabria e Pulito propone un patto: voti in cambio di una mano con i giudici.
IL CONVITATO DI PIETRA Se ne è discusso a Roma, racconta, nel corso di un incontro con Gelli in persona. «Lo abbiamo raggiunto in un hotel a via Veneto». A due passi dall’ambasciata Usa, convitato di pietra che rimangono ingombranti testimoni ombra in tutta questa storia. «Gli spiego la situazione e lui fa una telefonata, parla con uno che chiama più volte “Giulio” e me lo passa, dicendomi che si tratta di Andreotti. Non l’ho visto in faccia, ma la voce sembrava proprio la sua», racconta.
DO UT DES All’incontro era presente anche il professore Salvatore Sigillo, calabrese della Piana di Goia Tauro, chiamato a fare il “garante” dell’arrivo delle preferenze dei calabresi. E per questo – racconta Pulito – più volte avrebbe incontrato Gelli. «Noi ci siamo messi a disposizione per la raccolta dei voti in Calabria, insistendo con Sigillo, dal quale avevo assicurazione per l’elezione di Gelli». In cambio, i pugliesi si erano attivati per fare avere prima un permesso e poi la libertà ad un Mammoliti che era detenuto a Lecce. «Tuttavia, alla fine non credo si sia fatto nulla più, perché sono stato arrestato e posto al 41 bis e non ho saputo più nulla».

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