Sab. Apr 20th, 2024

Antonio aveva il grado più altro, dopo di lui Roberto e Mario Sollazzo. Con il padre e lo zio in carcere a gestire gli affari era Giuseppe. Il genero del boss Franco Presta e il suo ex braccio destro si gestivano in autonomia, ma sempre con rispetto delle gerarchie

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Quella dei Presta nella Valle dell’Esaro è una dinastia criminale radicata, organizzata e che sa bene come far fruttare i quattrini dallo spaccio della droga. Chili e chili di stupefacente, che dalla provincia di Reggio Calabria arrivava nelle cittadine cosentine alimentando un business di centinaia di migliaia di euro sul quale il gruppo criminale traeva il suo sostentamento. Tutte le “piazze” avevano un pusher “responsabile” di zona, ma al vertice del sodalizio criminale smantellato nell’ultima operazione realizzata dai poliziotti della Questura di Cosenza coordinati dalla Dda di Catanzaro, c’erano Antonio Presta, sua fratello Roberto e Mario Sollazzo.
UN PASSO INDIETRO Il solo pensiero di Franco Presta fa ancora tremare i polsi. Il pentito Angelo Colosso, nel corso di un’udienza lo definì come «il maggiore criminale che c’è» e questo perché dal gruppo mafioso dei Lanzino aveva ricevuto «delega» di uccidere. Da Roggiano Gravina, piccolo comune nel cosentino, parte la storia del gruppo criminale dei Presta e lì gli uomini agli ordini di Nicola Gratteri sono ritornati. Antonio e Roberto, con Franco Presta non dividono solo la parentela stretta della cuginanza ma anche un metodo di organizzazione del crimine, duro, preciso, capace di imporre le regole dei capi e del rispetto delle gerarchie. Tutto questo salta fuori dagli atti d’indagine, dove, in uno stralcio riportato da un verbale del pentito Luciano Impieri, Antonio Presta, capo della famiglia viene tratteggiato come: «Dotato di un carisma per essere un “capo” in quanto in carcere ha potuto notare che viene rispettato da tutti ed è in grado di gestire sia la collocazione dei detenuti nelle varie celle oltre che l’assegnazione delle varie doti di ‘ndrangheta».
LA STRUTTURA CRIMINALE Al vertice del gruppo criminale decimato dall’inchiesta antimafia ci sono Antonio Presta, Roberto Presta e Mario Sollazzo. I tre, come documentano le numerose captazioni telefoniche registrate dai poliziotti del reparto mobile, discutono su tutto. Sulla droga pesante e leggera che deve arrivare nella zona dell’Esaro, così come dei pusher che nel tempo non hanno onorato il proprio debito. Dei tre, Antonio è quello con il grado più alto. Poi c’è Roberto in fine Sollazzo. Il gip, che ne ha disposto la custodia cautelare in carcere, analizzata la richiesta del pm annota come i tre «Sono coloro a cui compete ogni singola decisione nella comune gestione della fiorente attività di narcotraffico, e costituiscono il punto di riferimento per ogni soggetto che vi sia stabilmente coinvolto». Non reggono il clan, ma sono dotati di una certa autonomia, che spesso mina gli equilibri interni, Francesco Ciliberti detto “Ciccilluzzo” e Costantino Scorza detto “Costanzo”, “il vecchio” o “peso morto”. Il primo è il genero del boss Franco Presta, ne ha sposato la figlia e per questo motivo si ritiene sia una figura apicale del sodalizio criminale. Secondo gli inquirenti, negli anni in cui Franco Presta viveva in latitanza non è da escludere che “Ciccilluzzo” fece di tutto per favorirla. Lui è descritto come un autonomo all’interno del gruppo, ma non per questo i due fratelli germani erano pronti a farsela fare sotto il naso. Nei documenti d’indagine è scritto come «Francesco Ciliberti, coordini le attività di spaccio demandata ai singoli referenti di zona e riceve in via prioritaria parte dei proventi, ma anche che abbia potere decisionale di risoluzione delle diatribe interne fra responsabili di zona e spacciatori potendo decidere anche di gestire lo spaccio in modo parallelo cioè senza chiedere in via preventiva l’assenso ai fratelli Tonino e Roberto Presta». Una situazione diversa ma un potere decisionale altrettanto autonomo era invece quello accordato a Costantino Scorza. Lui era uomo di fiducia di Franco Presta, un braccio destro del quale si fidava ciecamente. Questo rapporto privilegiato con il boss gli permise di avere l’esclusiva del controllo dello spaccio a Spezzano Albanese, San Lorenzo del Vallo e zone limitrofe. Il figlio, Francesco Salvatore, sta scontando la pena dell’ergastolo per aver vendicato la morte del figlio di Franco Presta, Domenico. È, infatti, per mano della figlio di “peso morto” che è stata sterminata la famiglia di Aldo De Marco, autore del delitto di Domenico Presta. L’autonomia dei due spesso da fastidio al triumvirato in capo al gruppo criminale, soprattutto quando i due ingaggiano  pusher che non sono stati autorizzati. La rabbia investe i capi quando si convinsero che l’ingaggio di due nuovi spacciatori fosse il primo passo verso l’indipendenza dal gruppo. Non a caso Roberto parlando con il fratello Antonio circa la mancata restituzione di alcuni soldi da parte di “peso morto” sottolinea «quando ha detto “questi meli tengo” se me li aveva detti un altro gli avevo tirato un pugno nel muso». Tre persone non possono bastare per controllare il flusso di droga che alimenta un quarto della provincia di Cosenza, servono dei luogotenenti. A questo compito sono deputati Marsico Mauro insieme a Fabio Giannelli, e Antonucci Armando. Per come emerso dalle indagini loro si dividevano tra la vendita della droga all’ingrosso e la riscossione dei soldi la cui parte alimentava anche una cassa comune al clan. Il gruppo aveva un approccio aziendale, ma c’erano delle regole di mala da rispettare. Come quando con Antonio e Roberto fuori dai giochi a causa di un arresto a tenere le redini del gruppo è stato il figlio Giuseppe. Nelle indagini si documenta l’ascesa del rampollo di famiglia all’interno del gruppo criminale quando deve sopperire l’assenza dello zio e del padre tratti in arresto il 20 maggio e il 4 agosto del 2017, dopo questi eventi è lui che si occupa di gestire la contabilità del mercato della sostanza stupefacente. Ma non c’è solo il business, ci sono gli accordi. Giuseppe Presta, come riporta l’ordinanza di custodia cautelare, si sostituì al padre in una trattativa con il clan degli “zingari” per l’acquisto di sostanze stupefacenti. Dell’associazione accusata, tra le altre cose, di narcotraffico fa anche parte Giannelli Fabio detto “Leoncino” organizzatore del traffico di sostanze stupefacenti e deputato al collocamento di partite di sostanza, rappresenta all’esterno i vertici del clan di appartenenza per la vendita dello stupefacente all’ingrosso, in una rete di distribuzione gestita da ciascuno dei sodali più fidati. Gli organizzatori però, possono contare su una serie di pusher tutti marchiati dal bollino di garanzia ai quali poter affidare il controllo totale di tutte le piazze di spaccio. Questo è il caso di Antonio Riannetta detto il “reggitano” «si tratta di quello che i germani identificano come colui che porta la buona» o di Michele Fusaro, organizzatore e gestore del traffico di stupefacenti per la zona di Spezzano Albanese, San Lorenzo del Vallo è distributore all’ingrosso ai vari pusher locali ed è autista di Costantino Scorza. Ci sono anche: Luigi Gioiello a cui è affidata la zona di San Marco Argentano, Intorno Francesco Attivo a San Lorenzo del Vallo e Spezzano Albanese. Damiano Diodati e Sergio Cassino, accusati di spaccio a Terranova da Sibari e zone limitrofe. La rete dello spaccio è estremamente fitta e comprende tutti gli uomini contigui ai fratelli Presta e che nei diversi comuni dell’hinterland cosentino contribuivano in modo attivo allo spaccio di sostanza stupefacente.
MIGLIAIA DI EURO Nella Valle dell’Esaro la droga arrivava tramite un canale aperto con la provincia di Reggio Calabria, ne arrivano svariati chili, di diverso tipo e sui quali il gruppo criminale aveva un solo scopo: monetizzare. Nei capi d’imputazione contestati agli indagati (qui tutti i nomi) dalle intercettazioni emerge come il volume d’affari per ogni partita di droga messa sul mercato fosse consistente. Migliaia di euro, un fatturato da grande industria ed un meccanismo che si inceppava soltanto quando dagli spacciatori non ritornava il dovuto. In questi casi che si registrano tentativi più disperati per rientrare del debito, come la sottrazione della macchina, se non in modo definitivo per un tempo congruo a risanare il segno negativo. In una delle conversazione, i vertici della società dedita al narcotraffico, fanno i conti relativi ad una partita di droga. Roberto Presta, si trova insieme a Mario Sollazzo che dice: «Oggi pure io sono “smontato” sono proprio “smontato” davvero… risolviamo per questi cazzo di soldi, in tilt sto andando, perché sono troppi soldi, sono troppi davvero. Armando mi deve dare parecchio» Fa il conto e arriva a 28 mila, ma le poste in bilancio sono altre e tante. Presta e Sollazzo si rendono conto che da quattro sodali devono ancora ricevere 38mila euro, 13mila euro, 6 mila euro e 2mila 500 euro. Dove vanno questi soldi? Parte in una cassa comune il cui responsabile è Roberto Presta. Sono i soldi che servono a pagare chi sta al libro paga del gruppo, ma anche per fronteggiare le emergenze. «Qualche soldo lo devo conservare.. che non sia mai qualcosa…».

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