Rammaricato per non averli potuto salutare da vicino, il vescovo Oliva rivolgendosi ai detenuti ha detto: “Mi basta far pervenire a ciascuno di voi la mia vicinanza ed il mio affetto. So che mi ascoltate e che accettate ben volentieri il mio incoraggiamento in questo momento difficile. Anch’io come voi avverto il peso dell’essere costretti a stare al chiuso. Lo faccio perché questo giova a contenere il contagio ed a tutela della salute propria e altrui. Per voi le restrizioni sono di maggior peso. La vostra sofferenza è ancora maggiore, perché dentro queste mura è più pesante il timore dell’epidemia. Stare lontani dalla famiglia aumenta il senso della solitudine e dell’abbandono. Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento. Passerà questo pandemia. Non sentitevi soli”.

Monsignor Oliva ha rivolto parole d’incoraggiamento, spiegando che “Dio non abbandona i suoi figli, anche se sbagliano, non vuole che si perdano”. Poi ha chiesto loro di fare un atto di pentimento sincero e compiere per la Pasqua un gesto di pietà: “Avendo fra le vostre mani una croce o davanti al Crocifisso dite, Grazie, Signore, che ti sei offerto per me. La tua morte mi guarisce dalle ferite del male, ti chiedo perdono di tutto ciò che ho fatto, donami la tua pace”.

Il regalo del Vescovo: l’organetto e il tamburello

Per esaudire una richiesta che gli era stata fatta dagli stessi detenuti, il vescovo locrese ha portato loro in regalo un organetto e un tamburello. Questi strumenti, molto diffusi in Calabria per accompagnare il ballo della tarantella, saranno utilizzati per organizzare all’interno della Casa Circondariale dei corsi musicali. “Il dono della musica – ha spiegato don Francesco, il Cappellano – potrà certamente favorire la collaborazione, creare sana aggregazione e armonia di relazioni umane”.

Don Francesco ha aggiunto: “Nella durezza del tempo che stiamo vivendo, la presenza del Vescovo in questo luogo di sofferenza, nel giorno di festa, è la stessa presenza della Chiesa. Non si poteva negare la speranza a chi si vive di sola speranza, di desiderio di perdono e di voglia di riscatto”.

Fonte Giovanni Lucà avvenire.it