Gio. Mar 28th, 2024

 I pazienti affetti da Covid19 che affrontano un intervento chirurgico hanno un rischio più elevato di morte nel post operatorio. E’ quanto emerge da uno studio su scala mondiale pubblicato oggi sulla rivista scientifica The Lancet. In Italia, lo studio è stato coordinato da tre giovani ricercatori Francesco Pata, Gaetano Gallo e Salomone Di Saverio, due calabresi e un lombardo. Sono tre gli aspetti fondamentali del lavoro scientifico portato avanti dal gruppo internazionale di ricercatori, Covid Surg, coordinato dall’ Unità di ricerca sulla Chirurgia Globale (NIHR) dell’Università di Birmingham. I pazienti presentano un aumentato rischio di morte post-operatoria se contraggono il Covid-19; gli interventi chirurgici non-critici dovrebbero essere posposti durante la pandemia; infine sono necessari degli investimenti urgenti per aumentare la sicurezza della chirurgia durante la pandemia. I ricercatori hanno riscontrato, inoltre, che, tra i pazienti infettati dal coronavirus SARS-CoV-2, che sono stati sottoposti a intervento chirurgico, i tassi di mortalità si approssimano a quelli dei pazienti più critici che sono stati ricoverati nelle terapie intensive dopo aver contratto il virus nella comunità. I ricercatori hanno esaminato i dati di 1.128 pazienti da 235 ospedali in 24 nazioni, prevalentemente dell’Europa, sebbene abbiano contribuito anche ospedali dell’Africa, dell’Asia e del Nord America.

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Nello studio, la mortalità totale post operatoria a 30 giorni è risultata del 23.8%. Un tasso elevato in maniera sproporzionata in tutti i sottogruppi, inclusa la chirurgia programmata (18,9%), la chirurgia d’emergenza (25,6%), gli interventi di chirurgia minore come l’appendicectomia o gli interventi per ernia (16.3%) e la chirurgia maggiore come la chirurgia dell’anca o per cancro del colon (26.9%). Lo studio ha identificato una mortalità più alta negli uomini (28,4%) rispetto alle donne (18,2%) e in pazienti con età pari o superiore ai 70 anni (33,7%) rispetto ai pazienti al di sotto dei 70 (13,9%). In aggiunta all’età e al sesso, fattori di rischio di mortalità nel postoperatorio includevano preesistenti problemi di salute, l’essere sottoposti a chirurgia oncologica o a chirurgia maggiore, e gli interventi in urgenza. La ricerca ha rilevato anche che, complessivamente, nei primi 30 giorni dopo la chirurgia, il 51% dei pazienti ha sviluppato una polmonite, una sindrome da distress respiratorio o ha richiesto la necessità di un supporto respiratorio non previsto. Questo potrebbe spiegare la mortalità elevata, dal momento che la maggior parte (81,7%) dei pazienti deceduti ha avuto delle complicanze polmonari. “L’Italia – afferma Pata, chirurgo dell’ospedale di Corigliano-Rossano – è stata la seconda nazione per numero di pazienti reclutati nello studio, grazie al contributo entusiasta di decine di ricercatori e chirurghi di 44 ospedali, che si sono impegnati, nonostante la condizioni critiche della pandemia. Per pazienti sottoposti a chirurgia minore o elettiva ci saremmo normalmente aspettati una mortalità al di sotto dell’1%, ma il nostro studio suggerisce che nei pazienti affetti dal SARS-CoV-2 questi tassi di mortalità sono molto più alti, sia nella chirurgia minore (16.3%) che nella chirurgia programmata (18.9%)”. Gallo, assegnista di ricerca di chirurgia dell’Università di Catanzaro,altro coautore, aggiunge la raccomandazione “che la soglia per indicare un intervento chirurgico durante la pandemia COVID-19 sia aumentata rispetto a periodi normali. Per esempio, gli uomini di 70 anni e oltre che si sottopongono a interventi in urgenza hanno un rischio particolarmente elevato di mortalità, pertanto questi pazienti potrebbero beneficiare dal differimento dell’operazione, se possibile”. Di Saverio, direttore f.f. della Chirurgia I dell’Ospedale di Varese, professore aggregato di Chirurgia nell’Università dell’Insubria conclude che “a livello globale si è calcolato che 28.4 milioni di interventi chirurgici programmati saranno cancellati a causa dell’interruzione dei servizi dovuto al COVID-19. I nostri dati suggeriscono che è stata una decisione corretta quella di posporre gli interventi nel momento in cui i pazienti erano esposti al rischio di essere infettati dal coronavirus in ospedale”.

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