E’ vero, per mille motivi, tanto come Calabria quanto come Calabresi, siamo messi proprio male. Ultimamente, tale circostanza sta diventando sempre più il pretesto per alimentare approfondimenti televisivi, per colmare pagine di giornali e far rimbalzare nella rete del villaggio globale un misto di incredulità, indignazione e scoramento. Attenzione, purtroppo c’è anche molta indifferenza. Tutto ciò non dovrà significare arrendersi per dover poi scrivere la parola fine. Pur avendo sotto i nostri occhi la sommatoria di una serie infinita di fallimenti culturali, politici e sociali dobbiamo andare avanti. Oggi, per poter ripartire e costruire il futuro, il primo passo da compiere dovrà chiamarsi discontinuità rispetto al passato.
Prima di entrare nel merito della mia riflessione, vorrei ben chiarire alcuni concetti. Quando si parla di cultura, non intendo riferirmi al concetto di sapere ma indico quel complesso ambito delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche e scientifiche, delle manifestazioni spirituali e religiose che caratterizzano la vita di una determinata società in un dato momento storico. Pertanto, avendo chiarito il concetto basilare sul quale lavorare, si comprenderà bene la causa del fallimento politico e sociale di questa terra. Non vorrei essere eccessivamente puntiglioso, ma più tempo passa più mi accorgo che le passate generazioni, in alcune circostanze, hanno agito con una certa superficialità. Tutto ciò non vuole essere un colpevolizzare qualcuno. In una fase di espansione economica e di apparente benessere, votare una capra o sostenere un genio non fa la differenza. Purtroppo, spesso, in Calabria oltre ad essere state elette persone poco avvezze a leggere le esigenze sociali e poi realizzarle, sono stati eletti ottimi politici ma hanno trovato spazio anche molti personaggi che Leonardo Sciascia, nel suo romanzo “il giorno della civetta”, avrebbe chiamato quaquaraquà.
Contrariamente al passato, la modernità e tutta la sua tecnologia, contribuiranno a far correre il tempo in modo sempre più veloce. Tale dinamica, unitamente ad i crescenti litigi, ai veti incrociati, agli inciuci ed all’attendismo tecnico dettato da partiti, movimenti e armate Brancaleone, determineranno l’acuirsi di una crisi molto più profonda di quanto si possa immaginare. Oltre alla desertificazione economica, i risvolti incideranno sul piano demografico paralizzando il futuro della Calabria. I primi a pagare il prezzo più alto, secondo recenti ricerche econometriche, saranno le aree interne ed seguire i piccoli centri urbani. Si stima una certa resistenza a favore degli aggregati urbani e per le città, ma in esse cercheranno rifugio segmenti sociali sempre più poveri e con minore capacità di reazione a quella che potrebbe essere una vera e propria riaffermazione della divisione sociale. Forse, quanti oggi sono individuabili come decisori politici non hanno compreso o non vogliono comprendere la differenza tra i tempi passati e l’attualità. Proviamo a ribadirlo: in passato le scelte politiche generavano onde lunghe destinate ad essere percepite nel medio-lungo periodo; oggi, non è più così. Inoltre, proprio in questa fase storica stiamo pagando le crisi di altri momenti storici e, come già detto prima, il peso insopportabile riposto sulle nostre spalle è una sommatoria di crisi destinata ad asfissiare il Meridione.
Per molti versi, staremmo vivendo una Calabria apparentemente uscita dal racconto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e la “questione sanitaria” si presta a perpetuare l’assunto divenuto celebre nel Gattopardo “affinchè tutto cambi tutto deve rimanere com’è”. Inoltre, il male più grave che ci stiamo arrecando consiste nel continuare a diffondere l’insolito culto dell’auto “ingiuria”, praticato all’infinito e con una certa propensione a non voler tenere in considerazione le conseguenze di tale comportamento. Pietire attenzioni, sperando di risolvere i problemi, credo sia una strada da abbandonare. Sarebbe meglio ricorrere a percorsi diversi, utilizzando maggiore intelligenza. Il nostro modello potrebbe essere paragonato ad un sistema di circolazione autostradale: in un senso bisognerebbe far transitare le proteste e nell’altro dovranno trovare la carreggiata libera le proposte. Insomma, avendo noi Calabresi ereditato l’agire della popolazione Greca, potremmo iniziare ad amare la polis con maggiore responsabilità e soprattutto praticando una gelosia costruttiva? Vivendo immersi nella disinformazione, non può esserci spazio per la virtù perchè il sistema utilizzato per disinnescare l’entusiasmo di quanti vorrebbero veramente impegnarsi in tal senso continua a chiamarsi delegittimazione. Quindi, in assenza di una cultura solida e diffusa ed in presenza di una dirompente delegittimazione, praticata prevalentemente da mediocri, quanti hanno capacità e volontà, desisteranno dall’impegno civico lasciando spazio ad una classe politiche incapace e priva di una visione futura.
Ebbene, la gravità della crisi di cui ho dato cenno, secondo i recenti dati ISTAT, riserveranno al Mezzogiorno un lento e pesante declino demografico. Basti pensare che dal 2019 al 2065 è stata stimata una riduzione della popolazione italiana di 6,9 milioni di abitanti, di cui 5,1 milioni in meno appartenenti al Sud, mentre solo 1,8 milioni afferiscono al Nord. Già da questo dato credo sia comprensibile la diffusa preoccupazione di quanti, responsabilmente, non possono essere lasciati a giocare con il nostro futuro. I vezzi infantili degli aspiranti politici, rinati dalla fantasia dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia andrebbero letteralmente fermati. Venendo meno un così alto numero di abitanti, il tessuto economico apparirà irrecuperabile. Vi sono molte responsabilità pregresse perchè l’onda lunga di tale declino è partita con la crisi del 2007.
La dispersione scolastica, nel medio-lungo periodo, vedrà sempre più arretrare la propensione alla legalità ed allo sviluppo mantenendo elevato il rischio di devianza sociale ed instabilità delle Amministrazioni locali. Infine, essendo quotidianamente sottoposti alle platee mondiali di telespettatori che vedono la nostra terra come l’ultimo Paese del mondo, per una volta, accettiamo lo stato di cose in quanto la verità sul nostro conto, come ci è stata comunicata in questi ultimi mesi, mai prima d’ora era avvenuto. Questo ultimo grafico, risalente al 2018, rappresenta la base dei nostri Livelli Essenziali di Assistenza che i vari Commissari alla Sanità avrebbero dovuto innalzare sotto la costante osservazione di deputati, senatori, amministratori regionali e locali per evitare i viaggi della speranza, le lunghe attese ed oggi l’incertezza che regna nel nostro sistema sanitario.
Sino a quando non verrà attentamente rivalutata la “questione culturale” Calabrese, non dovrà nemmeno esserci spazio per l’indignazione che in tanti hanno avuto quando all’arresto di un latitante, effettuato per mano dei carabinieri, decine di persone applaudivano l’arrestato incitandolo a stare tranquillo perchè quel popolo continuava ad avere fiducia in lui. Quest’ultimo esempio, scritto con molta amarezza, rappresenta un sistema plastico dove lo Stato, in alcuni territori, non è riuscito a manifestare tutta la propria consistenza lasciando spazi liberi a quanti nella mala vita hanno individuato la loro naturale collocazione, dimenticando che l’avventura del bandito Giuliano è ormai conclusa ed oggi lo Stato, come la natura, riprende tutti i propri spazi perchè cosi è giusto che sia.
Non me ne vogliate. Sarò pur ripetitivo, ma anche quest’ultima parte è una questione culturale, come è una questione culturale la rieducazione del detenuto e la volontà di chiudere con il passato. Il lavoro da compiere è davvero arduo, perciò necessitano competenze ed entusiasmo.
Grazie per avermi letto.
Saluti