Ven. Mar 29th, 2024

Secondo gli inquirenti il 43enne originario di Crotone aveva fittiziamente intestato, a se stesso a ad altre persone compiacenti, proprietà riconducibili alla ‘ndrangheta

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Polizia e Finanza hanno sequestrato nove immobili, ubicati in provincia di Reggio Emilia, terreni annessi, ditte, conti correnti e auto, per un valore di oltre un milione di euro, a un imprenditore edile 43enne, Carmine Bramante, originario di Crotone, ma residente da tempo a Reggio Emilia. In particolare, in un solo conto corrente è stata reperita la ragguardevole somma di 120.000 euro.

Secondo gli inquirenti l’uomo aveva fittiziamente intestato, a se stesso a ad altre persone compiacenti, beni riconducibili alla ‘ndrangheta, portando avanti, nell’interesse del sodalizio, anche attività imprenditoriali.

Polizia e Finanza, dunque, con l’operazione Libra, a circa 6 anni dalla conclusione della nota operazione “Aemilia”, hanno inferto un altro duro colpo alla cosca che ha disarticolato il sodalizio ‘ndranghetistico operante in regione.

Le inchieste giudiziarie avevano ben dimostrato la capacità della cosiddetta “‘ndrangheta emiliana”, oltre che di infiltrare l’economia nazionale ed estera, di operare un sistematico ricorso allo strumento dell’intestazione fittizia dei beni, provento dei reati, per eludere i provvedimenti in materia di sequestri.

L’operazione ha preso il via all’alba in 5 diverse località della provincia reggiana e ha visto impegnato decine di poliziotti e finanzieri. Le indagini sono durate circa 7 mesi, ricostruendo 22 anni di vita dell’imprenditore 43enne e dei familiari e avrebbero dimostrato che i redditi percepiti dalle attività lecite, da lui intrarpese e dal suo nucleo familiare, non erano in alcun modo sufficienti a giustificare il tenore di vita e le proprieta’ acquisite nel corso degli anni.

Sono state analizzate con scrupolo anche le numerose transazioni bancarie, al fine di dividere quelle rientranti nella normale dinamica imprenditoriale e quelle che, invece, avevano come scopo reale lo storno di cifre e l’acquisto di proprieta’ per conto di taluni esponenti del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano.

Le indagini hanno preso spunto da “Aemilia”, nella quale l’imprenditore era stato condannato proprio per il reato di intestazione fittizia di beni, dato che aveva fornito a due sodali della consorteria emiliana, imprenditori attivi nel reggiano, poi arrestati e condannati anche di recente dalla Corte di Appello di Bologna, uno “schermo” protettivo per evitare che alcuni beni fossero loro riconducibili e quindi potenzialmente aggredibili dai provvedimenti giudiziari.

Le indagini patrimoniali avrebbero pero’ permesso di documentare che il contributo del 43enne in seno alla ‘ndrangheta sarebbe continuato anche in anni piu’ recenti e riguarderebbe altri beni, oltre quelli individuati in “Aemilia”. Per quanto riscontrato, l’uomo avrebbe cercato di portare avanti anche alcune attività imprenditoriali dei vertici della cosca, di cui è peraltro stretto congiunto, e si sarebbe occupato di curare in prima persona specifici interessi dello stesso (per esempio pagare le parcelle dei difensori).

Inoltre, e sempre al fine di creare quante piu’ barriere possibili nella riconducibilità delle proprietà, il soggetto avrebbe anche alienato, a compiacenti prestanome, un appartamento, attraverso un atto di compravendita, la cui causa giuridica è stata ritenuta dagli inquirenti solo surrettizia.

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