Mar. Apr 16th, 2024

Reggio Calabria, la celebrazione si è tenuta presso la Basilica Cattedrale: il rito della presa di possesso canonico ha emozionato i fedeli reggini

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“Aiutatemi a non spadroneggiare sulla vostra fede, ma ad essere autentico servitore e collaboratore della vostra unica gioia, Cristo Gesù”. Ha la voce carica di emozione monsignor Fortunato Morrone quando parafrasa il motto scelto per il ministero episcopale (Adiutores Gaudii Vestri): il nuovo arcivescovo di Reggio Calabria – Bova ha ricevuto l’abbraccio della comunità diocesana in occasione del suo ingresso solenne di oggi. Nonostante le limitazioni dovute al contenimento epidemiologico da Covid-19, i sentimenti di gratitudine al Signore sono rimasti immutati. La Basilica Cattedrale di Reggio Calabria ha presto esaurito il numero dei posti a disposizione. Tanti i fedeli che hanno voluto progere il loro benvenuto al nuovo pastore. Tra loro anche le Autorità civili, politiche e militari che – dopo il saluto a Palazzo Alvaro – si sono riversati al Duomo per partecipare alla santa messa. Presente anche una nutrita delegazione dal territorio di Crotone-Santa Severina, diocesi di provenienza di monsignor Morrone. Chi non ce l’ha fatta, però, ha potuto vivere le emozioni grazie alla diretta dalla Cattedrale predisposta dall’Avvenire di Calabria che ha consentito, anche ai reggini emigrati, di gustare la bellezza dell’incontro con l’arcivescovo Fortunato. Di buon mattino, monsignor Morrone ha voluto affidare il suo ministero episcopale in riva allo Stretto alla Madonna della Consolazione, patrona della Chiesa reggino bovese.

Il rito d’ingresso

L’ingresso solenne nell’arcidiocesi è iniziato fuori dalla Basilica Cattedrale dove l’arcivescovo Morrone, tolta la mitra, ha baciato il Crocifisso sorretto dalle mani del Decano del Capitolo metropolitano, monsignor Antonino Denisi. Il rito della presa di possesso canonico – presieduto inizialmente da monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, nelle vesti di amministratore apostolico fino al dono del Pastorale – è stato altamente suggestivo, anche per via dell’estram cura in ogni suo dettaglio dall’Ufficio liturgico diocesano, diretto da don Nicola Casuscelli. Una volta giunto nel seggio predisposto nel presbiterio, monsignor Morrone ha ascoltato il saluto che il delegato ad Omnia dell’arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova, monsignor Salvatore Santoro, gli ha rivolto a nome della comunità diocesana (leggi qui il testo integrale). “È proprio nello stupore grato e benedicente di tanta bontà, che le consegniamo il nostro primo benvenuto», ha detto monsignor Santoro, «Si senta accolto così dai suoi preti, dai laici, dalle religiose, religiosi, diaconi, seminaristi, dalle autorità governative, civili e militari (che ringrazio per la loro amabile presenza in questa basilica cattedrale), da noi tutti, popolo santo di Dio da oggi affidato al suo cuore ed alle sue cure». Ha aggiunto il delegato ad Omnia: «Le chiediamo di confermarci in una fede che si nutra essenzialmente di comunione, per poter diventare strumento efficace di evangelizzazione». «Conti su di noi e ci sappia, tutti, pronti a rimetterci in cammino, assieme a lei ed in ascolto di quanto ci indicherà, perché – ha concluso Santoro – “la gioia del Signore sia in noi, e la nostra gioia sia piena””. Dopo la fine del saluto di monsignor Santoro, il cancelliere della Curia arcivescovile, don Francesco Velonà, ha dato lettura della Lettera apostolica di papa Francesco con la quale il Santo Padre ha nomina monsignor Fortunato Morrone come arcivescovo metropolita dell’arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova. A questo punto, l’arcivescovo emerito, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini ha annunciato all’assemblea l’insediamento del nuovo arcivescovo Metropolita di Reggio Calabria-Bova consegnando il Pastorale nelle mani di monsignor Fortunato Morrone, il quale è salito alla cattedra. Durante il canto Christus vincit intonato dal coro della Cattedrale, i rappresentanti del clero, dei religiosi, delle religiose e del laicato sono salite alla cattedra per rendere riverenza al nuovo arcivescovo.

La celebrazione eucaristica

I profeti Isaia (Is 61,9-11) e Samuele (Sam 2,1.4-8) e l’apostolo Paolo (Cor 5,14-21), fondatore dell’arcidiocesi reggina, hanno “accompagnato” la liturgia della Parola fino alla proclamazione del Vangelo secondo Luca (Lc 17,5-10). Dopo l’ascolto delle letture, monsignor Morrone ha letto l’omelia (clicca qui per leggere la versione integrale) dalla cattedra: “Mi sento a casa, con voi, uno di voi, in questa bellissima e maestosa cattedrale, quasi architettonicamente custoditi perché possiamo gustare e celebrare, in questa santa liturgia, il mistero della fede: l’annuncio gioioso, la bella e insuperabile notizia che in Gesù siamo tutti, nessuno escluso, amati da morire”. E ancora: “La gioia di appartenere al Signore senza alcun merito, divampata nel cuore di San Paolo lo ha spinto a portare la lieta novella di Cristo sino ai confini della terra. Questa Chiesa non è forse figlia di questo fuoco paolino generato dello Spirito?”. Nel corso dell’omelia, Morrone ha aggiunto: “Abbiamo una grande eredità: non mortifichiamo la fiamma di questa fede che ha già spostato in questa diocesi le montagne. San Gaetano Catanoso, monsignor Giovanni Ferro, don Domenico Farias, Maria Mariotti, don Italo Calabrò, Franca Maggioni Sesti, suor Antonietta Castelliti, per citarne alcuni, non sono forse scintille di questo fuoco dello Spirito che come luce gentile ancora ci guida e rischiara il nostro cammino e ci sollecita ad osare di più dietro Gesù?”. Spiega l’arcivescovo di Reggio – Bova: “La fede di questi testimoni è stata convincente e generativa perché sull’esempio luminoso della Vergine Maria, hanno posto il loro umano humus a totale servizio del Signore ben consapevoli che in loro, come in Maria, l’Onnipotente avrebbe operato grandi cose“. Poi la conclusione del presule pitagorico: “Coraggio popolo santo, chiesa di Dio in Reggio Bova, facciamo tesoro di tanta ricchezza, orgogliosamente responsabili di tanta bellezza, per essere anche noi concreta benedizione per tutti, nessuno escluso. Aiutatemi, pertanto, a non spadroneggiare sulla vostra fede, ma ad essere autentico servitore e collaboratore della vostra unica gioia, Cristo Gesù”. La celebrazione eucaristica è continuata in un clima mistico caratterizzata dalla preghiera dei sacerdoti, delle religiose e dei religiosi e dei fedeli laici confluiti in Cattedrale. Dopo la benedizione finale, una volta sottoscritto l’atto letto dal Cancelliere Velonà, monsignor Morrone è passato in processione tra i banchi per benedire e salutare i presenti.

L’atto di affidamento alla Madonna della Consolazione

Monsignor Fortunato Morrone, arcivescovo eletto di Reggio Calabria – Bova, ha voluto iniziare il suo cammino nella Chiesa reggino bovese con un atto di affidamento alla Madonna della Consolazione. Monsignor Fortunato Morrone, infatti, alle 9 di stamattina si è recato presso il Santuario dell’Eremo accompagnato dal delegato ad Omnia dell’arcidiocesi, monsignor Salvatore Santoro, qui è stato accolto dall’amministratore apostolico di Reggio Calabria – Bova, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini. L’arcivescovo Morrone, una volta giunto all’Eremo, si è raccolto in preghiera ed ha affidato alla Patrona della arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova il suo ministero episcopale in riva allo Stretto. Ad accogliere monsignor Morrone presso la Basilica intitolata alla Patrona, oltre all’amministratore apostolico, c’erano padre Alessandro Gatti, guardiano della Madonna della Consolazione, e padre Luigi Grisi, parroco della Parrocchia dell’Eremo, insieme a loro erano presenti tutti i padri cappuccini della comunità di Reggio. Subito dopo l’atto di affidamento del suo episcopato alla Patrona, monsignor Morrone si è recato presso la Casa comunale per l’incontro con le Autorità civili, politiche e militari del territorio.

Discorso di benvenuto del delegato ad omnia, monsignor Santoro

Di seguito il discorso integrale:

Eccellenza reverendissima, caro padre Arcivescovo Fortunato;
Eccellenze, gentili Autorità oggi qui convenute, fratelli appartenenti ad altre confessioni di fede, confratelli nel sacerdozio ministeriale, amici carissimi della chiesa sorella di Crotone-S. Severina; sorelle e fratelli tutti, nel comune sacerdozio battesimale!
“Com’ è grande, o Signore, la tua bontà!
Tu la riservi per coloro che ti temono
e la dispensi, davanti ai figli dell’uomo,
a chi trova in te il suo rifugio.. “(Sal 31).
Ho appena evocato un versetto del salmo 31 (che so essere particolarmente caro a d. Fortunato) perché in questo frammento di Parola di Dio mi sembra ci sia l’eco di quanto, tutti, in questo momento sentiamo nel cuore. Ben volentieri, dunque, faccio mio il canto del salmista, lieto e consapevole di essere voce di un popolo – la chiesa santa di Dio che è in Reggio-Bova – che le rivolge, carissimo padre, il primo caloroso e filiale benvenuto tra noi! Sì, caro Vescovo Fortunato: vorrei fossero proprio queste le prime parole che riverberano, semplici e solenni, dal cuore di questa nobile ed antica comunità civile e religiosa reggino-bovese, che ringrazia il buon Dio e la paterna premura del Santo Padre Francesco per il dono del suo nuovo Pastore. Com’è grande, o Signore, la tua bontà!
È proprio nello stupore grato e benedicente di tanta bontà, che le consegniamo il nostro primo benvenuto! Si senta accolto così dai suoi preti, dai laici, dalle religiose, religiosi, diaconi, seminaristi, dalle autorità governative, civili e militari (che ringrazio per la loro amabile presenza in questa basilica cattedrale), da noi tutti, popolo santo di Dio da oggi affidato al suo cuore ed alle sue cure: le chiediamo di confermarci in una fede che si nutra essenzialmente di comunione, per poter diventare strumento efficace di evangelizzazione. Si senta abbracciato così, (almeno virtualmente) dai nostri bimbi, che desiderano farle dono del loro sorriso perché sono già stati conquistati dal suo: le chiedono e ci chiedono di non vergognarci mai della tenerezza, o del calore di una carezza. Si senta accolto dall’entusiasmo dei nostri giovani – certezza del presente, prima che speranza del futuro – che le affidano i loro sogni, assieme alle loro paure, i disincanti e, forse, le troppe delusioni ricevute da un mondo di adulti, tristemente disabituato ai fremiti dello stupore ed alle liete sorprese della vita: le chiedono, ci chiedono, di essere sostenuti nel loro desiderio di verità, di pulizia e di bellezza. Benvenuto da parte dei nostri anziani, icona di resilienza e forza e, oggi più che mai, preziosissimo patrimonio di radici da custodire e di fedeltà da benedire e da cui imparare: le chiedono e ci chiedono di non dimenticare che non può esserci futuro dove c’è oblio del passato. Benvenuto da parte di chi sperimenta ancora, sulla sua carne, il dolore della malattia o la solitudine per una crocifiggente fragilità: quanta sofferenza, Eccellenza, abbiamo raccolto e condiviso – talvolta, impotenti ed attoniti, in questo tempo difficile – ai capezzali delle corsie dei nostri ospedali, se (e quando) abbiamo potuto portare ai nostri fratelli ammalati – soprattutto a quelli colpiti dalla recente pandemia – il conforto di un sorriso o il balsamo della preghiera.

Benvenuto da parte dei poveri, vera ricchezza della chiesa di Gesù, e di quanti (nelle strutture ecclesiali o civili) si prendono cura di loro senza troppe chiacchiere, in eloquente ed esemplare silenzio che, però, stride, spesso, con l’indifferenza demagogicamente urlata di chi non sa (o non vuole) riconoscere la dignità di chi è nel bisogno, quale che sia la natura della sua indigenza: le chiedono e ci chiedono di essere voce di chi non ha voce; di non deflettere dal coraggio della denuncia di quanti disconoscono la ricchezza della solidarietà e del riscatto sociale, valori ben noti a chi – ad ogni livello, non solo ecclesiale – sa mettersi quotidianamente a servizio dei più fragili, senza scalpore perché non va alla ricerca di scampoli di consenso o di scoop mediatici.
Benvenuto Eccellenza, da parte di quanti – dal mondo della politica a quello dell’economia o della cultura – hanno bisogno di ascolto, consiglio ed orientamento, delicato, rispettoso e sapiente, per il servizio che sono chiamati a rendere nella nostra Città: le chiedono e ci chiedono la pazienza del dialogo, che è sempre garanzia di comunione ed espressione altissima di civiltà. C’è tanta fame, qui come ovunque, di parresia e di coraggio; di parole chiare, libere e mai ambigue, profumate di speranza e di futuro: da sempre la chiesa di Reggio, attraverso i suoi pastori, si è fatta eco ed interprete di questa fame!
Benvenuto da parte di chi vive con pace la fatica del credere, ma anche di chi fa ancora tanta fatica a credere, forse anche per responsabilità nostra; da parte di chi si sente di casa nella chiesa, ma anche (e soprattutto) da parte di quanti sostano ancora sull’uscio delle nostre parrocchie ed aspettano un appello, perché sognano una chiesa che sia casa per tutti: le chiedono e ci chiedono di costruire comunità accoglienti e mai autoreferenziali. Benvenuto, caro Padre Arcivescovo, da parte di chi, pur nella complessità di questo tempo – problematico ma benedetto – non ha perso la fiducia nella prossimità del buon Dio, il quale, come ricorda Dietrich Bonhoeffer, “non si preoccupa di realizzare i nostri sogni, ma solo di portare a compimento le sue promesse”, e non si stanca di custodirci e perdonarci “… fino a settanta volte sette” (cfr. Mt18,22), perché non smette “…di amarci, di stimarci…settanta volte sette; e ci chiede di fare così anche noi, nei confronti di noi stessi e degli altri..” (sono parole sue, parole che mi hanno colpito mentre ascoltavo una recente intervista da lei rilasciata ad una emittente televisiva di Crotone, ma che, in qualche modo, ha anche ripetuto sabato scorso, nel saluto al termine della sua Consacrazione episcopale). Vorrei dirle, Eccellenza, con semplice e filiale sincerità, che l’aspettavamo; non perché ci sentissimo privi di cura o in deficit di paternità: no! Sono certo di interpretare anche i suoi sentimenti se, con cuore grato e commosso, a nome di tutti, anche suo, dico al suo venerato predecessore, il carissimo Padre Giuseppe Morosini (dalle cui mani riceverà il Pastorale, come segno della continuità del servizio apostolico nella chiesa) che, assieme lui e grazie a lui, noi, comunità ecclesiale di Reggio-Bova, non ci siamo mai sentiti soli o in deficit di paternità! Grazie, carissimo p. Giuseppe. Grazie per il bene seminato in questi quasi otto anni di ministero episcopale tra noi. Si: non ci siamo mai sentiti soli o smarriti, in questi anni, perché l’abbiamo sempre sentita al nostro fianco. Grazie per lo zelo, la pazienza, il coraggio, l’amore, la delicatezza e la cura con cui – senza mai risparmiarsi – si è messo accanto a questo popolo ed al suo servizio: Dio gliene renda merito, e sia la sua ricompensa! L’aspettavamo, dicevo, caro padre Arcivescovo, perché solo chi è capace di attendere può esser certo di aver imparato davvero ad amare! L’aspettavamo, non per partire da zero, ma per ripartire insieme. L’aspettavamo, per essere “collaboratori della sua gioia”, come lei, da oggi, lo sarà della nostra, in ossequio al motto episcopale che si è scelto (2Cor 1,24). “Ognuno è chiamato ad essere balsamo per molte ferite”, scriveva Hetty Hillesum nel suo Diario, nei giorni, cupi (ma anche fulgidi) della sua deportazione nei campi di concentramento nazista. Mi piace pensare, Eccellenza, che sarà anche questo il suo essere, fra noi, “collaboratore della nostra gioia”: sono e siamo certi che lei sarà “balsamo per molte ferite”, ma anche segno eloquente della Resurrezione di Gesù. Sarà quel chicco di grano, evocato dal germoglio disegnato sul suo stemma episcopale, che, immerso nel grembo e nel cuore della madre terra, è pronto a dare la vita (Gv 12,24) “… perché il mondo creda” (cfr. Gv17,21). Sia per noi tutti, carissimo padre, testimone della speranza che non delude, quella donata dal Crocefisso Risorto, perché il volto umano e divino del Maestro, “il più bello fra i figli dell’uomo”, possa riflettersi – come Luce gentile, avrebbe detto il santo J. Henry Newman – nella povertà amata (e già redenta) di ogni nostro fratello e sorella: di tutti, “..nessuno escluso, mai!”, per citare una felice espressione del compianto d. Italo Calabrò, davvero, uno dei nostri “santi della porta accanto”, direbbe papa Francesco in Gaudete et exsultate. Affidiamo lei e noi, Arcivescovo Fortunato, alla preghiera dei nostri Santi Protettori ed all’intercessione tenera e provvidente di Maria, Madre della Consolazione ed Avvocata del popolo reggino. Conti su di noi e ci sappia, tutti, pronti a rimetterci in cammino, assieme a lei ed in ascolto di quanto ci indicherà, perché ”la gioia del Signore sia in noi, e la nostra gioia sia piena” (Gv 15,11).

Omelia di Mons. Morrone

“Con gioia e con trepidazione, carissimi tutti nel Signore, fratelli e sorelle, popolo santo di Dio qui convocato, mi rivolgo a voi per la prima volta, vostro nuovo vescovo inviato da papa Francesco qui nella cattedrale della Chiesa di Reggio-Bova, vostra casa ed ora anche mia, nostra casa comune. Grazie, grazie di cuore, per l’affetto corposo e tangibile che ho letto nei vostri sguardi, calorosi e accoglienti, sinceri. Grazie. In mons. Giuseppe Morosini, saluto e ringrazio fraternamente in Cristo Gesù gli arcivescovi, i vescovi e i vescovi emeriti qui presenti. Ringrazio e saluto cordialmente i delegati fraterni delle chiese ortodosse e protestanti che assistono alla celebrazione eucaristica. Grazie. Un saluto rispettoso a tutte le autorità civili, politiche e militari qui convenute, sono grato al Prefetto Mariani e al sindaco Falcomatà per l’accoglienza riservatami questa mattina a nome di tutte le autorità del territorio. Saluto e ringrazio il Sindaco di Bova Casile e il commissario prefettizio della città di Cutro: grazie della vostra presenza. Un grazie a mons. Giuseppe Agostino, vostro concittadino e figlio di questa Chiesa, che mi ha ordinato prete ed ora senz’altro dall’alto dell’Amore trinitario tifa orante per tutti noi. Grazie di cuore al mio Arcivescovo, Mons. Angelo Raffaele, che con delicatezza fraterna mi ha accompagnato fin qui. Ringrazio anche monsignor Salvatore Santoro, delegato ad omnia, per il fraterno e incoraggiante saluto che mi ha rivolto a nome di tutti voi, e lo ringrazio anche per il lavoro che ha svolto in questi mesi per preparare l’avvicendamento alla guida dell’arcidiocesi, coadiuvato dalla Commissione diocesana istituita ad hoc. Dicevo … Mi sento a casa, con voi, uno di voi, in questa bellissima e maestosa cattedrale, quasi architettonicamente custoditi perché possiamo gustare e celebrare, in questa santa liturgia, il mistero della fede: l’annuncio gioioso, la bella e insuperabile notizia che in Gesù siamo tutti, nessuno escluso, amati da morire.

Mentre qui, nel pane eucaristico spezzato celebriamo il segreto dell’Amore, vero nutrimento della vita umana, ben sappiamo che nei vari ambiti dell’esistenza quotidiana, accanto alla tua porta, nel tuo quartiere, nel tuo ambiente lavorativo, amministrativo, culturale, educativo e ludico, tantissimi cercano e bramano che anche una sola briciola di questa vita sia loro elargita non come un semplice favore filantropico, ma come riconoscimento del valore di ogni singola persona in Cristo. Per questo siamo sempre chiamati a fare nostro l’incipit della Gaudium et Spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (GS 1). Di fronte a tutto questo, che pur risuona sincero desiderio nel cuore, la nostra inadeguatezza viene come interpretata dall’invocazione degli apostoli nel Vangelo: “Signore accresci la nostra fede”. Si, la nostra fede è fragile e incerta Signore, a volte paurosa, sottotono di fronte al nostro mondo in continuo cambiamento, abitato sì da tante luci che fanno respirare il cuore, ma anche offuscato dall’ingiustizia e dalla violenta prepotenza. Queste ombre ci inquietano e ci interrogano. A volte, per vigliaccheria, le ignoriamo, quasi a negare la realtà, rintanandoci nei sicuri recinti delle nostre comunità o nei perimetri sacrali delle nostre liturgie, con la continua tentazione di occultare la tua luce splendida sotto il moggio. Tu o Signore oggi ci hai avvertito che l’orrore e il sopruso, gli scandali che in genere attraversano i nostri cammini non provengono solo dal di fuori ma anche dal di dentro delle nostre comunità per il nostro stile di vita a volte antievangelico, peccaminoso. Non vogliamo sprofondare nel mare a causa delle nostre iniquità. Al contrario tu ci richiami sempre a sostenere i piccoli e i deboli, a dare parola a chi non ha voce, a riconoscere dignità a chi è scartato, a offrire coraggio e sostegno agli sfiduciati. Ci inviti ad aprire nuovi e percorribili sentieri di concreta speranza ai tanti che non hanno la gioia di un onesto lavoro e a chi, volendo procurarsi il cibo con il sudore della propria fronte, è costretto dal malaffare a portare altrove competenze e passione. Ci chiami a metterci dalla parte di chi, resistendo per offrire futuro, soprattutto ai giovani, non sempre trova in noi cristiani sostegno e concreta solidarietà.

È anche vero che in questa chiesa di Reggio-Bova le comunità cristiane da molti decenni hanno accolto il tuo appello, Signore, e lì dove il grido sofferto degli ultimi si fa più grave, sono Tua presenza consolante. Sono tanti i volti di credenti reggini, laici, seminaristi, diaconi, presbiteri e vescovi, che operando nella carità ti hanno riconosciuto e continuano a servirti, il più delle volte silenziosamente e di nascosto, nei tuoi e nostri fratelli più piccoli che sono in carcere, ammalati, soli, messi ai margini perché non hanno parola o non rientrano nei parametri selettivi della nostra cultura. Grazie Signore di tanta ricchezza: sono onorato di lavorare in questa tua vigna particolare. Ma sono ancora tante le sfide che la contemporaneità pone alla nostra comune attenzione ecclesiale.
E allora ancora ti imploriamo: “aumenta la nostra fede”. Ma quale fede intendi tu o Signore? L’albero sradicato e piantato contro ogni buon senso nel mare, è un’immagine incredibile e in fondo irragionevole ma che ben traduce l’immensa forza della fede paragonata ad un granello: basta un po’ di fiducia in Dio per spostare anche le montagne della nostra rigidità e arroganza. Secondo il costume sociale dell’antichità, non esisteva un contratto di lavoro tra l’agricoltore padrone e il suo servo che in qualche misura potesse fissare i limiti di orario [per inciso oggi, nel nostro mondo occidentale e cosiddetto avanzato sui diritti sociali il lavoro sottopagato … immigrati]. Gesù inserisce la parabola dell’agricoltore sfruttatore in questo contesto: il servo appartiene al padrone, ricompensa e riconoscimento del lavoro del servo è un lessico ignoto. Il servo non si attende nulla: in tal senso lavora senza alcun utile. Fuor di metafora, Gesù ai suoi discepoli/servi, dunque a ciascuno di noi, chiede di non cadere nella trappola religiosa di contrattualizzare e mercanteggiare il nostro rapporto con Dio e di conseguenze con le persone con le quali condividiamo l’esistenza. La logica religiosa di pretendere da Dio il dovuto appiattisce la nostra fede alla logica del merito in qualsiasi ambito umano si esprima: ti meriti quest’incarico, questo titolo, questa posizione, questo posto, questo potere: meriti di essere vescovo.

Il mio ministero tra voi, il nostro ministero amici presbiteri e diaconi, può degenerare in funzionari del sacro, custodi del do ut des, esattori della legge del dovere e del dovuto, della prestazione che attende in ogni caso la ricompensa in qualsiasi forma possa essere espressa. Quello che pretendiamo da Dio, lo esigiamo poi da coloro che siamo chiamati a guidare e diventiamo inesorabilmente padroni esosi e saccenti, paternalisti, pur di essere riconosciuti nel prestigio della carica che ricopriamo o nelle opere che, anche con fatica, abbiamo realizzato pur di essere ammirati dalla gente. Ma ben sappiamo che questa dinamica non è generata dalla Spirito di Gesù: in relazioni di subalternità non è in opera la libertà evangelica, quella libertà da sé che guardiamo ammirati nel folle uomo giusto, Giuseppe di Nazaret. «Giuseppe – scrive papa Francesco – […] non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù. Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione» (Patris Corde, 7). Care amiche e amici, ce n’è per tutti! Chi ha deciso di servire nell’amore, lavora nelle trame feriali e nascoste della vita, dove l’esistenza pulsa di inosservata gentilezza e dedizione, insieme a contraddizioni e fragilità, ma con acquisita naturalezza, esito di un lungo e paziente cammino di maturità cristiana, semplicemente umana. Qui solo lo sguardo amorevole del Padre di Gesù è ricompensa inaspettata e gratificante 100 volte tanto. D’altra parte la chiamata a prendere parte all’opera di edificazione del Suo regno non è in sé impagabile? Dov’è il dovuto? Siamo semplicemente dei graziati: sia quelli chiamati nella primissima ora sia quelli convocati nell’ultimo istante dal Signore della vigna.

Credo che solo da questa grata consapevolezza nasca l’insopprimibile desiderio che nessuno sia privato di assaporare anche una sola briciola della bontà del Signore, Vangelo di vita piena. Questa coscienza credente modella e delinea il volto missionario delle nostre comunità parrocchiali. L’EG, che ci indica “vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” è chiara su questo. La gioia di appartenere al Signore senza alcun merito, divampata nel cuore di San Paolo lo ha spinto a portare la lieta novella di Cristo sino ai confini della terra. Questa Chiesa non è forse figlia di questo fuoco paolino generato dello Spirito? Abbiamo una grande eredità: non mortifichiamo la fiamma di questa fede che ha già spostato in questa diocesi le montagne. San Gaetano Catanoso, Mons. Ferro, don Domenico Farias, Maria Mariotti, don Italo Calabrò, Franca Maggioni Sesti, suor Antonietta Castelliti, per citarne alcuni, non sono forse scintille di questo fuoco dello Spirito che come luce gentile ancora ci guida e rischiara il nostro cammino e ci sollecita ad osare di più dietro Gesù?

La fede di questi testimoni è stata convincente e generativa perché sull’esempio luminoso della Vergine Maria, hanno posto il loro umano humus a totale servizio del Signore ben consapevoli che in loro, come in Maria, l’Onnipotente avrebbe operato grandi cose. È questa la fede che ci occorre: fede che libera da ogni ansia di prestazione autoreferenziale attivando tutte le energie migliori per la costruzione di spazi di tenerezza, di giustizia, di solidale e simpatica collaborazione con chi si impegna per convivenze accoglienti, tolleranti e pacifiche per una attiva e feconda cittadinanza nella casa comune di questo nostro piccolo mondo. Coraggio popolo santo, chiesa di Dio in Reggio Bova, facciamo tesoro di tanta ricchezza, orgogliosamente responsabili di tanta bellezza, per essere anche noi concreta benedizione per tutti, nessuno escluso. Aiutatemi, pertanto, a non spadroneggiare sulla vostra fede, ma ad essere autentico servitore e collaboratore della vostra unica gioia, Cristo Gesù. «Dio opera per chi non lavora per sé stesso», scriveva a suo tempo J. H. Newman. Questa certezza, carissimi tutti, ci sostenga e ci conforti. Prega per noi santa Madre di Dio, Maria di Nazaret, donna forte dal cuore puro, totalmente votata al tuo Signore, madre della gioia e della consolazione. A te affidiamo questi nostri sinceri desideri perché si concretizzino in una fede che opera nella medesima Carità di tuo Figlio Gesù, nostro Signore. Amen”.

strettoweb

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