Ven. Apr 26th, 2024
La strage di Capaci Franco Lannino. ANSA

A volte, non basta una carica composta da tritolo, RDX e nitrato d’ammonio con potenza pari a 500 kg di tritolo, per uccidere gli ideali. Chi fece esplodere un tratto dell’autostrada A29, alle ore 17:57 del 23 maggio 1992, mentre vi transitava sopra il corteo della scorta con a bordo il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti di Polizia, sistemati in tre Fiat Croma blindate, pensava di poter sotterrare anche le menti sotto le macerie, non solo i corpi. Quel giorno, oltre al grande Giovanni Falcone, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza. Quel giorno, però, non morì la speranza. La speranza di un intero paese di rifondare la cultura sociale, morale e popolare di un’Italia stanca di un potere ossessivo, oppressivo e dispotico come quello mafioso.
Capaci sarebbe stato il primo “gesto” eclatante degli uomini di fango di “cosa nostra” siciliana contro lo stato. Era stato preceduto da altri omicidi eclatanti, da altre tattiche stragiste volte a ad impensierire la stabilità dello stato, alcune di queste azioni, vergognose, addirittura sono attribuibili a membri oscuri dello stato stesso e alla loro partecipazione guidata da una “mano losca e criminale” volta al mantenimento di un sistema di regime basato sul potere delle mafie e non al predominio giusto, innegabile e prioritario della sicurezza e della legalità in una nazione bella, affascinante e meravigliosa come la nostra Italia.
Capaci precedette, di qualche mese, l’attentato di Via D’Amelio in cui venne spazzata via la vita anche di Paolo Borsellino, non la sua storia, non il suo ghigno benevolo di chi provó a vincere il male a suon di arresti e sigarette nell’Italia misteriosa e cupa degli anni novanta.
Lo stesso Paolo Borsellino, dopo l’attentato di Capaci, pronunciò queste parole sulla morte dell’amico, collega e “fratello” Giovanni Falcone : “Giovanni, ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte: “Ci sono tante teste di minchia: teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello… quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero… ma oggi signori e signore davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa di minchia di tutti… Uno che aveva sognato, niente di meno, di sconfiggere la mafia applicando la legge.”
Questo per ricordarci che noi giovani siamo il cambiamento, noi giovani possiamo ribellarci all’illegalitá, all’ingiustizia, ai poteri occulti che vogliono soggiogarci nella mediocrità. Oggi più che mai : “Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola” e sappiate che : “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine.”

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