Gio. Mar 28th, 2024

Si prospetta l’arrivo di 18 milioni di euro per il Parco Archeologico di Sibari, destinati a valorizzazione, infrastrutture e sicurezza; bene, ma vedremo in futuro a che prezzo. La notizia del mega-finanziamento dovrebbe tuttavia far riflettere i tanti che a Crotone hanno enfatizzato la ‘nuova alleanza’ pubblico-privato (dove quest’ultimo si identifica con gli enti del terzo settore) sancita martedì 26 luglio nell’incontro promosso dal Comune e dalla Direzione regionale Musei della Calabria. L’opinione pubblica è stata infatti indotta a credere che tale sperimentazione, tentata per la prima volta in Italia – ma ci sarà una ragione, per non averlo fatto finora! –, avrebbe inusualmente preso le mosse dal remoto Capo Colonna per poi diffondersi ovunque. Agli addetti ai lavori non era sfuggita, invece, la reale natura dell’operazione, resa oggi palese dal diverso ‘approccio’ di quell’ufficio ministeriale nei confronti del parco sibarita. Operazione che è un grimaldello per scardinare ovunque il sistema pubblico di gestione del patrimonio culturale e sancire il disimpegno dello Stato dai propri compiti istituzionali in materia, come imposto dalle politiche franceschiniane. La tattica è duplice: cedere a privati i beni ‘maggiori’ in quanto redditizi, e cedere al terzo settore quelli ‘minori’. E si comincia, non a caso, dalle aree geograficamente e demograficamente marginali, snobbate dai privati ma che il mondo del non-profit potrebbe invece considerare appetibili, a condizione di vedersi garantiti dallo Stato la copertura delle spese e forse anche un quid di sostegno finanziario. Marco D’Isanto ha addirittura espresso la pretesa che a Capo Colonna il futuro partner della Direzione regionale Musei abbia anche il compito, estraneo ai doveri istituzionali del Ministero della cultura e dunque oggetto di una delega impropria, di “costruire un progetto di animazione culturale affinché quell’area diventi un motore di attività di natura culturale, civile e sociale”. L’iniziativa presentata il 26 luglio replica, però, un errore che il Ministero di Franceschini ha già commesso subito dopo l’apertura del museo del Lacinio (2006), quando i servizi aggiuntivi furono da subito esternalizzati ma, dopo qualche tempo, si arrivò ad un passo dall’annullamento del contratto da parte del dicastero. Più di recente, il Museo è rimasto per anni ‘ostaggio’ della convenzione firmata con il soggetto che a fine 2014 si era vista approvare e finanziare dalla Regione Calabria un progetto di gestione dei servizi aggiuntivi mai attuato, e in fine, complice la pandemia, l’istituto museale di Capo Colonna è stato chiuso per oltre due anni a causa della decisione di sguarnirlo del poco personale ministeriale superstite per garantire, invece, l’apertura del Castello di Le Castella. Affidare il Museo e Parco di Capo Colonna ad “associazioni che hanno una lunga esperienza in campo culturale”, come dichiarato dal direttore Demma nonostante che sul territorio non ne esista alcuna che a Capo Colonna non abbia già dato cattiva prova di sé, è dunque un azzardo almeno pari a quello commesso nei primi anni Duemila. Con altri colleghi senatori, perciò, ho presentato una interrogazione (Atto Senato n. 4-03742 del 2 agosto 2022) per sapere “a quale titolo la Direzione Regionale Musei della Calabria abbia inteso cedere al terzo settore la gestione dei servizi aggiuntivi di uno degli istituti di sua competenza, assumendosi il rischio di una scommessa che l’esperienza degli anni scorsi dice persa in partenza, poiché l’assenza di infrastrutture e servizi essenziali rende del tutto velleitario attendersi a Capo Colonna quei flussi turistici dei quali si favoleggia come risultato, invece che come presupposto, dell’impiego di associazioni non-profit nella gestione di uno dei più importanti luoghi della cultura statali del Mezzogiorno.”

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Margherita Corrado (Senato – Gruppo Cal – Commissioni Cultura e Antimafia)

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