Ven. Mar 29th, 2024

“In cambio di un cospicuo pacchetto di voti, recuperato dal gruppo ‘ndranghetista, Munno e Manna, relativamente ai rispettivi ruoli pubblici, avrebbero favorito la sotto-articolazione ‘Gruppo D’Ambrosio’, mediante l’aggiudicazione di gare, in primis l’affare del ‘palazzetto’,  e assicurando un perpetuo trattamento di favore comprensivo di lavori di urbanistica e di favoritismi lavorativi, nonché una serie di utilità (date/promesse) che, come detto, determinavano i D’Ambrosio a rinunciare ai classici 100 euro per voto”. Così scrive il gip distrettuale di Catanzaro Alfredo Ferraro nell’ordinanza che ha portato gli arresti domiciliari per entrambi i politici. Secondo il giudice, il sindaco di Rende Marcello Manna e l’assessore ai lavori pubblici Pino Munno – anche lui come il sindaco accusato di scambio elettorale politico-mafioso nell’inchiesta che stamani ha portato a 202 misure cautelari da parte della Dda di Catanzaro,  avrebbero stretto accordi con il gruppo criminale D’Ambrosio.  Adolfo D’Ambrosio, componente apicale del gruppo, “subito dopo la sua uscita dal carcere, a discapito di qualsivoglia resipiscenza, prendeva subito in mano le redini degli affari dell’omonimo gruppo pretendendo un incontro con il sindaco Manna”.

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“Ti ho fatto a campagna elettorale, le promesse sono promesse”

Il trait d’union tra i D’Ambrosio e il primo cittadino sarebbe stato Munno. Il gruppo D’Ambrosio è ragionevolmente certo di “aggiudicarsi” la gestione del palazzetto, “ti ho fatto la campagna elettorale, le promesse sono promesse” e, sempre secondo l’ipotesi accusatoria, “la conferma degli incontri tra i D’Ambrosio e Manna” verrebbe “ulteriormente offerta dalla telefonata di Massimo D’Ambrosio allo studio Manna per fissare un appuntamento, precisando che si erano già visti e che con Manna erano rimasti d’accordo che si sarebbero rivisti dopo 7-8 giorni. Peraltro, va evidenziato che alla domanda della segretaria sulle ragioni della richiesta di appuntamento il D’Ambrosio precisava che si trattava di una ‘pratica’ di cui Manna era già al corrente”. Secondo l’accusa, Munno avrebbe “stretto un patto di scambio elettorale politico mafioso con membri apicali della criminalità organizzata”.

“Sto portando a Manna e a Mungo”

Scrive il gip che il politico, sottoposto agli arresti domiciliari, “ha mostrato predisposizione a delinquere scendendo a patti con membri di un’associazione mafiosa, in particolare col gruppo D’Ambrosio”. Dalle intercettazioni emergerebbe “la sussistenza di un rapporto tra Massimo D’Ambrosio e Pino Munno, assessore del Comune di Rende già nel 2014”. Secondo la Dda, D’Ambrosio si sarebbe adoperato “per il sostegno elettorale a Munno e Manna: ‘Io sto portando a Manna e a Munno’”. Lo stesso D’Ambrosio avrebbe contattato “diverse volte” Munno “per chiedergli di risolvere problemi di manutenzione delle strade e/o dei palazzi, rivolgendo tali richieste con tono estremamente confidenziale, e avendo sempre risposte affermative da parte del politico”. L’assessore, secondo quanto riferito in una conversazione del 22 maggio 2019, viene definito come uno che “non chiude mai la porta” e il clan, anziché i “classici 100 euro a voto” (“ho rifiutato cento euro a voto”) avrebbe individuato “il tornaconto in altre ‘utilità’”.

I debiti dell’assessore

È accusato di associazione per delinquere semplice aggravata dal metodo mafioso e intestazione fittizia, l’assessore alla manutenzione e decoro urbano di Cosenza Francesco De Cicco. Nel corso dell’operazione antimafia operata questa mattina dalla Dda di Catanzaro, al politico è stata applicata la misura degli arresti domiciliari. “De Cicco – scrive il gip -, seppure sostanzialmente incensurato, ha dimostrato una significativa proclività a delinquere, nonché collegamenti con la criminalità organizzata (di lui ne parlano financo alcuni collaboratori di giustizia) mettendosi a disposizione anche di membri apicali (quali Piromallo). Emerge, quindi, una personalità incline alla commissione di delitti gravi tutelabile esclusivamente con una misura custodiale, in particolare quella degli arresti domiciliari, idonea a interrompere i predetti collegamenti”. Il collaboratore di giustizia Silvio Gioia afferma che Daniele Chiaradia (elemento di spicco del gruppo Chiaradia-Orlando, ndr) e Mario Piromallo (appartenete al clan Patitucci-Porcaro, ndr) avevano un rapporto diretto e che “Chiaradia e Mario Gervasi gestivano una società di Gaming (Gechi Games) anche a Malta, e che l’avvio era stato possibile grazie ai finanziamenti elargiti da Piromallo, il quale li affiancava nella gestione servendosi dello schermo societario per riciclare il denaro di provenienza illecita”. In questo contesto si inserisce Francesco De Cicco, assessore del Comune di Cosenza, il quale – sostiene il collaboratore – “era legato sia al Chiaradia che al Gervasi, i quali gli riconoscevano il 45% degli utili, e che avendo il vizio del gioco aveva contratto debiti pari a euro 200mila euro con entrambi e indirettamente col Piromallo”.

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