REGGIO CALABRIA – Un incontro toccante e carico di significato quello tra il sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà e Alessandro, cittadino reggino colpito da gravi problemi di salute e protagonista di una vicenda che racconta, con drammatica chiarezza, le ferite ancora aperte del quartiere Arghillà Nord. Alessandro, nel 2011, mentre si trovava in ospedale per affrontare un delicato intervento chirurgico, ha perso la propria casa, un alloggio Aterp, occupato abusivamente in sua assenza. Da allora vive in una situazione di grande disagio.
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A far conoscere questa storia è stato il giornalista Matteo Viviani, inviato de Le Iene, che ha acceso i riflettori su una realtà spesso ignorata. “Non conoscevo la sua vicenda – ha detto Falcomatà – e ringrazio Viviani per avermela raccontata. Ho sentito il dovere di incontrarlo, prendere un caffè insieme e soprattutto cercare una soluzione concreta, per offrirgli un posto dignitoso dove vivere e curarsi con serenità insieme alla sua famiglia”.
Ma quello di Alessandro non è un caso isolato. Il primo cittadino ha voluto sottolineare come ad Arghillà Nord numerosi cittadini perbene siano stati costretti ad abbandonare le loro abitazioni a causa delle occupazioni abusive e del clima di illegalità diffusa. “È una ferita ancora aperta – ha affermato Falcomatà – figlia di errori gravi compiuti in passato, quando si pensò di risolvere il problema dell’ex caserma 208 abbattendola, senza però un vero progetto di inclusione. Si è finito per creare un nuovo ghetto”.
Il sindaco ha ricordato l’impegno portato avanti insieme alla Prefettura, alle forze dell’ordine e alle associazioni del territorio per contrastare questa emergenza sociale. “Sappiamo bene quanto sia difficile, quanto la strada sia in salita – ha aggiunto – ma non possiamo arrenderci. Lo dobbiamo a persone come Alessandro e a tutte le famiglie che hanno vissuto sulla propria pelle il peso del degrado e dell’emarginazione”.
Parole forti, che mostrano un coinvolgimento profondo: “Quando sei il sindaco non puoi tirarti indietro. È una responsabilità che ti entra dentro. È come un innamoramento verso la tua comunità: ogni cittadino diventa un figlio, e a ciascuno devi garantire ascolto, attenzione e risposte. Ho detto ad Alessandro di non mollare. Ma era anche un messaggio per me stesso e per tutti quelli che ogni giorno lottano per restituire dignità a chi è stato dimenticato”.