Dom. Set 8th, 2024

Gratteri al Premio Caccuri racconta i retroscena della mancata nomina. Dalla notte prima della presentazione della lista («raccontavo al futuro premier la mia rivoluzione e lui non stava nella pelle») alle richieste di conferma («non si tiri indietro»), fino al no di Napolitano. E vince la VII edizione della rassegna davanti a de Bortoli e Ferrario

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La storia di Nicola Gratteri mancato ministro della Giustizia è arcinota. Non lo erano, fino a giovedì sera, alcuni retroscena: il primo incontro con Matteo Renzi e le telefonate con l’allora premier e il ministro Graziano Delrio (che li ha presentati) mentre si andava componendo la squadra di governo dalla quale l’allora procuratore aggiunto di Reggio Calabria fu escluso per scelta del presidente Napolitano. Gratteri è ospite del Premio Caccuri (fa parte dei finalisti assieme ai giornalisti Ferruccio de Bortoli e Tiziana Ferrario) e la serata ispira un racconto che scende nei dettagli. «Ho conosciuto Renzi il giorno prima che andasse da Napolitano con la lista dei ministri – è l’esordio –. Conoscevo Delrio, che avevo incontrato quando era sindaco di Reggio Emilia». Quello che diventerà il ministro ai Trasporti li presenta e Renzi introduce l’argomento: «Vorrei parlare un po’ con lei di giustizia». Il magistrato non ci pensa due volte «e inizio a parlare delle mie follie, delle mie utopie sulla giustizia». Qui arriva la sorpresa: «Lui mi seguiva nel mio ragionamento e io mi meravigliavo». Il pubblico ride e applaude, ma l’intento di Gratteri non è quello di schernire. Dunque spiega: «Dicevo cose rivoluzionarie che mai nessuno ha seguito, cose che possono abbattere le mafie dell’80%, che non sono convenienti per la politica». Il suo stupore era dettato dal fatto che Renzi «era eccitato da questi ragionamenti, non riusciva a stare seduto». Il futuro procuratore di Catanzaro cerca di scoraggiare il capo del Pd: «Non sono un uomo di mediazione, la mediazione per me vuol dire trattare al ribasso, è un termine negativo». Ma Renzi insiste. Sembra un’altra era politica e in effetti lo è: «Parliamo del Pd che oscillava dal 30 al 40%».

 

Il segretario nazionale dem dice di essere pronto a sostenerlo su tutto («mi siedo accanto a lei»): «Parlavamo di cose pesanti – dice Gratteri al pubblico –, abolizione della Procura generale, riforme del Tar e del Consiglio di stato, parlavamo di chiudere Corti d’appello. Cose da far tremare le vene ai polsi». Il futuro premier non molla: «Lei deve fare il ministro della giustizia». «E al ministero con tutta questa gente – gli risponde il magistrato – possono passare queste cose?». «Le do carta bianca – è la risposta –, può cambiare tutte le persone che vuole». È la notte prima della nomina: sembra tutto deciso, va soltanto ratificato. Il giorno dopo, «alle 15,45 mi chiama Delrio: “Dottore, le passo il presidente”». Renzi ribadisce: «Lei è nell’elenco dei 16 ministri, otto donne e otto uomini, non è che si tira indietro?». «Se rimaniamo come siamo rimasti stanotte – risponde Gratteri – non mi tiro indietro, sono una persona di parola. Poi vanno là e dopo un’ora non si apriva quella porta. Io penso: staranno litigando per me». È allora che (ri)chiama Delrio: «Qui c’è il presidente che non vuole, dice che lei è un magistrato troppo caratterizzato». Finisce così, con il magistrato che risponde: «Non vi preoccupate, andate a perdere tempo per me… lasciate stare». Adesso è un felice procuratore della Repubblica («non pensavo fosse così bello»). Purtroppo o forse per fortuna quella porta non si è aperta.

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