Sigilli Gdf a tre società, 21 immobili e otto mezzi
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Beni per 15 milioni di
euro sono stati sequestrati dalla Guardia di finanza su
richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio
Calabria nell’ambito dell’inchiesta “Petrolmafie”. I sigilli
sono stati applicati a tre società operanti nel settore del
commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, 21 immobili e 8
mezzi tra auto e moto.
Il sequestro, che ha interessato anche le disponibilità
finanziarie degli indagati, ha riguardato sette regioni. Le
fiamme gialle, infatti, hanno operato non solo nel reggino.
Il decreto di sequestro preventivo, emesso dal gip su richiesta
della Procura guidata da Giovanni Bombardieri, è stato eseguito
anche nelle province di Asti, Milano, Piacenza, Parma, Roma,
Latina, Caserta, Napoli, Bari, Brindisi e Lecce.
Le indagini condotte dal Gico e dallo Scico hanno fatto luce
sull’infiltrazione della ‘ndrangheta nel commercio, su ampia
scala, degli idrocarburi. Nell’aprile scorso erano state
arrestate 23 persone raggiunte da un’ordinanza di custodia
cautelare.
L’attività investigativa ha permesso di scoprire l’esistenza di
una struttura organizzata che aveva lo scopo di evadere le
imposte, in modo fraudolento e sistematico, sotto la direzione
strategica di un commercialista campano e con la compiacenza di
soggetti esercenti depositi fiscali e commerciali. Secondo gli
inquirenti il settore dei prodotti petroliferi non era al centro
degli interessi esclusivi della ‘ndrangheta, ma anche di altre
organizzazioni criminali siciliane e campane. Ci sarebbe stata
una vera e propria joint venture criminale volta alla
massimizzazione dei profitti illeciti ai danni dello Stato e
della libera concorrenza. La finanza ha ricostruito un giro di
false fatturazioni per un ammontare complessivo di oltre 600
milioni di euro ed Iva dovuta per oltre 130 milioni, appurando
l’omesso versamento di accise per 31 milioni. Soldi che venivano
poi trasferiti su conti correnti controllati dall’organizzazione
criminale, intestati a società di comodo o persone fisiche. Da
lì il denaro finiva una parte all’estero e una parte veniva
prelevato in contanti e restituito ai membri dell’organizzazione
e agli acquirenti del prodotto petrolifero. L’attività
investigativa avrebbe documentato un vorticoso giro di
riciclaggio e autoriciclaggio, per un importo complessivo di
oltre 173 milioni di euro.