Il dipartimento Territorio e tutela dell’ambiente ha messo una pietra sopra i permessi per via dei cambi in corsa effettuati senza alcuna comunicazione agli uffici dalla società che avrebbe dovuto realizzare i due impianti
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Il progetto definitivo è diverso da quello presentato per ottenere le autorizzazioni regionali: i due parchi eolici (il Gallia e il Rafanello) che incombevano sulle Serre, non si faranno. Almeno per ora. Il disco rosso all’installazione delle gigantesche torri – 10 in totale per una potenza complessiva di 60 MW da realizzare, in parte, all’interno del Parco delle Serre – arriva direttamente dal dipartimento Territorio e tutela dell’ambiente della Regione che, un paio di giorni fa, ha definitivamente archiviato il procedimento di autorizzazione ambientale proprio a causa dei cambi “in corsa” che la Sthep, su indicazione della Terna e senza informare gli uffici regionali, aveva apportato alla parte di progetto relativa al collegamento delle torri alla linea elettrica nazionale.
Modifiche che, scrivono dagli uffici regionali, incidono «sullo sviluppo di diversi chilometri della citata linea di connessione elettrica e richiede un impegno territoriale meritevole di attenzione». Un cambio sostanziale quindi che, anche se non interessa gli elementi più visibili del parco (torri, pale e piazzole) non può avere via libera senza una propedeutica valutazione «anche in ragione dei potenziali mutamenti di carattere ambientale – scrive ancora la Regione – con evidenti ripercussioni anche sotto il profilo di valutazione ambientale e di incidenza in quanto parte costitutiva dell’intero impianto eolico».
Tutti rilievi che il dipartimento Ambiente della cittadella aveva già notificato alla Sthep – la srl milanese che gravita nell’orbita del colosso statunitense delle rinnovabili “Ortus Climate Migration” – il mese scorso, e da cui la stesa società aveva provato a difendersi scaricando le modifiche progettuali alla volontà di Terna spa (la società che gestisce la rete nazionale), minimizzando le modifiche stesse perché «non attengono alle opere principali e pertanto non danno luogo ad alcun mutamento del progetto sottoposto al Paur» e infine lamentandosi che «la revoca del procedimento costituirebbe un inutile aggravamento del procedimento».
Una difesa ballerina che il dipartimento regionale ha smontato in un paio di righe. Il punto centrale della vicenda, più che nelle modifiche in sé, sta infatti nella mancata comunicazione di quelle modifiche ai territori che da quelle modifiche dovrebbero essere interessati: «La partecipazione contestuale di tutti i soggetti (competenti o potenzialmente interessati) deve essere assicurata in sede Paur fin dall’inizio del procedimento, diversamente verrebbe compromesso il diritto di partecipazione del pubblico, che costituisce principio di derivazione comunitario in alcun modo derogabile».