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25 Mag 2025, Dom

La sentenza della cassazione ridefinisce il ruolo di Antonio Pelle “Vanchelli”: il boss che dalla faida di San Luca ha guidato il narcotraffico internazionale

Da San Luca ai grandi traffici internazionali di droga: la parabola criminale di Antonio Pelle, detto “Vanchelli” o “la mamma”, continua a essere al centro delle sentenze che ricostruiscono il volto più spietato e organizzato della ‘ndrangheta calabrese. È quanto emerge dalle motivazioni della Corte di Cassazione nell’ambito del maxi-processo “European ‘ndrangheta connection – Pollino”, che ha confermato il ruolo apicale del boss sessantatreenne, individuandolo come figura chiave non solo nei sanguinosi conflitti interni, ma anche nell’espansione delle attività illecite a livello mondiale.

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Secondo i giudici della sesta sezione penale, Antonio Pelle, nonostante l’arresto nell’ottobre 2016 dopo una lunga latitanza trascorsa anche in un bunker, ha mantenuto un potere saldo e strategico, capace di influenzare le dinamiche criminali ben oltre il proprio territorio di origine. Le indagini condotte dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria e coordinate dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato hanno evidenziato come, persino durante la detenzione domiciliare per motivi di salute, Pelle continuasse a impartire direttive operative, gestendo finanziamenti illeciti e curando i canali internazionali del narcotraffico.

La sentenza sottolinea il ruolo di “Vanchelli” nell’organizzazione delle rotte della droga, attraverso l’utilizzo di canali criptati e una rete di contatti affidabili, veri e propri broker incaricati di procacciare la merce. Antonio Pelle non era solo un uomo d’onore, ma un autentico stratega: determinava le linee guida del gruppo, assegnava compiti precisi e assicurava il sostegno finanziario alle operazioni, rafforzando così la presenza della ‘ndrangheta sui mercati internazionali della cocaina.

Non meno rilevante è il suo collegamento con la faida di San Luca, una delle più sanguinose nella storia della criminalità organizzata calabrese. Sebbene non direttamente imputato per gli omicidi, il suo nome è associato alla ripresa del conflitto tra i clan “Pelle-Vottari” e “Nirta-Strangio”, che culminò nella “strage di Natale” del 2006 e, pochi mesi dopo, nell’atroce “strage di Duisburg” in Germania, con sei morti freddati davanti a un ristorante italiano. La Cassazione evidenzia come Antonio Pelle abbia avuto un ruolo di vertice nell’organizzazione della fazione “Pelle-Vottari”, capace di condizionare l’escalation di violenza e di stabilire alleanze e strategie per il controllo del territorio.

Il ritratto che emerge dalle carte processuali è quello di un boss moderno, capace di adattarsi ai cambiamenti della criminalità organizzata, spostando il fulcro delle attività illecite dall’antico codice d’onore delle faide locali a una gestione imprenditoriale e transnazionale dei traffici. Antonio Pelle ha rappresentato il collegamento tra la ‘ndrangheta delle origini, legata ai codici familiari, e quella contemporanea, globale, che tratta affari con i principali cartelli sudamericani.

Il caso di “Vanchelli” racconta, ancora una volta, di come le radici della ‘ndrangheta affondino profondamente nel tessuto sociale calabrese, ma i suoi rami si estendano ovunque nel mondo, alimentando traffici illeciti, riciclaggio di denaro e una rete di violenza difficile da sradicare. Nonostante gli arresti e le condanne, la figura di Antonio Pelle resta emblematica di un sistema criminale che, pur colpito duramente dalle istituzioni, continua a rigenerarsi e a mutare, trovando sempre nuove vie per prosperare.