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6 Feb 2025, Gio

Mario Gennaro e la vita in carcere: “Mai incontrata la dottoressa Longo, ma quel bigliettino mi fece riflettere”


Il collaboratore di giustizia racconta le dinamiche nel carcere “Panzera” di Reggio Calabria nel 2015: tra cambi di cella, messaggi da capi clan e una gestione che faceva sentire i detenuti “a casa”

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Mario Gennaro, ex rampollo della cosca Tegano e oggi collaboratore di giustizia, ha testimoniato ieri davanti al Tribunale di Reggio Calabria, ripercorrendo un periodo cruciale della sua vita: l’estate del 2015, quando iniziava a maturare il distacco definitivo dalla ‘ndrangheta. Rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Stefano Musolino e del pubblico ministero Margherita Saccà, Gennaro ha offerto uno spaccato della vita carceraria nel penitenziario “Panzera” e del clima che vi si respirava.

Tra gli episodi narrati, spicca la consegna di una catenina religiosa da parte di un infermiere, accompagnata da un messaggio diretto da un capo della cosca di Archi: «Ti saluta e ti ricorda che ti vuole bene». Questo gesto, apparentemente innocuo, scatenò in Gennaro un forte senso di preoccupazione: «Mi fece riflettere. Se qualcuno poteva portare tranquillamente un bigliettino o mandare un’ambasciata, avrebbe potuto fare anche altro».

Gennaro ha descritto il carcere “Panzera” come un luogo dove molti detenuti, legati alle cosche cittadine, si sentivano “a casa”. Tuttavia, ha precisato che i cambi di cella – spesso richiesti per ragioni personali – erano gestiti secondo procedure standard e approvati da figure interne all’amministrazione, come agenti o ispettori. In controesame, rispondendo all’avvocato Giacomo Iaria, difensore dell’ex direttrice del carcere Maria Carmela Longo, Gennaro ha chiarito che non ha mai incontrato né avuto contatti con la dottoressa Longo: «Mai conosciuta, mai parlato».

L’udienza ha dunque confermato alcuni dettagli delle dinamiche interne al carcere, ma non ha evidenziato collegamenti diretti tra l’ex direttrice e le presunte irregolarità denunciate. Il racconto di Gennaro offre comunque uno scorcio significativo su una gestione carceraria che, almeno secondo le sue parole, garantiva ai detenuti delle cosche un senso di familiarità difficilmente compatibile con il rigore richiesto in simili contesti.