Un’operazione complessa condotta dai Carabinieri della Compagnia di Melito Porto Salvo, con il supporto dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria”, del Nucleo Cinofili di Vibo Valentia e della Compagnia di Desio, ha portato all’arresto di cinque persone, tutte legate da vincoli di parentela. Le accuse sono gravissime: tentato omicidio, detenzione e porto di armi da guerra, traffico di stupefacenti e ricettazione. L’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria guidata dal procuratore Giuseppe Lombardo, è frutto di un’attività investigativa meticolosa che ha portato alla scoperta di un vero e proprio arsenale, oltre a ingenti quantitativi di droga ed esplosivi.
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L’agguato e le prime indagini
Tutto ha avuto inizio il 9 ottobre 2024, quando un uomo di 35 anni, residente a Montebello Jonico, è giunto all’ospedale di Melito Porto Salvo con una ferita d’arma da fuoco al collo. La gravità delle sue condizioni ha reso necessario il trasferimento nel reparto di Rianimazione del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria. L’episodio ha immediatamente allertato i Carabinieri, che hanno avviato le prime indagini per ricostruire la dinamica dell’accaduto.
Sul luogo dell’agguato, gli investigatori hanno raccolto elementi determinanti: l’arma utilizzata sembrerebbe essere una pistola a tamburo, probabilmente una rivoltella, come suggerito dall’assenza di bossoli sulla scena del crimine e dalla tipologia del proiettile estratto dal corpo della vittima. Da qui è partita un’attività investigativa capillare, con intercettazioni e pedinamenti, che ha permesso di risalire ai responsabili del tentato omicidio.
Un arsenale nascosto e un traffico di droga ben strutturato
Le perquisizioni condotte dai Carabinieri nelle abitazioni e nei terreni degli indagati hanno portato alla scoperta di un impressionante arsenale. Tra le armi sequestrate figurano una pistola rivoltella con cinque colpi calibro 7.65 nel tamburo, che si ritiene possa essere stata usata per il delitto, e un fucile automatico AK-47 Kalashnikov con matricola abrasa. Ma il ritrovamento più inquietante riguarda l’ingente quantità di esplosivi: circa 200 grammi di tritolo occultati in un barattolo di vetro e una bomba carta del peso di circa 1,2 kg con miccia.
Non meno rilevante il sequestro di droga: mezzo chilo di cocaina, con un valore di mercato stimato in circa 150.000 euro, che conferma il coinvolgimento degli arrestati in un traffico di stupefacenti ben organizzato.
Il movente: un debito per la droga e un clan familiare compatto
Secondo gli inquirenti, il tentato omicidio sarebbe riconducibile a un debito contratto dalla vittima per l’acquisto di droga. Le intercettazioni hanno rivelato un linguaggio in codice utilizzato per le transazioni, con espressioni come “un bacino” o “due bacini” per riferirsi alle dosi di stupefacente richieste. La vittima si recava frequentemente nell’abitazione del presunto autore del crimine per acquistare droga, e in almeno un’occasione avrebbe consegnato denaro contante direttamente a uno degli arrestati.
L’organizzazione criminale scoperta dagli investigatori si muoveva con una coesione familiare impressionante, dimostrando una perfetta complicità tra i membri coinvolti. Gli arrestati, infatti, non solo gestivano il traffico di droga e il controllo delle armi, ma cercavano anche di ostacolare le indagini, imponendo il silenzio ai propri familiari e tentando di nascondere ulteriori prove.
Il tentativo di depistaggio e il colpo alla criminalità
Durante le intercettazioni, sono stati registrati chiari ordini volti a coprire le responsabilità: uno degli arrestati aveva intimato alla figlia e al cognato di non rivelare nulla alle forze dell’ordine, mentre venivano organizzati spostamenti per occultare altre armi, alcune delle quali potrebbero ancora essere nascoste.
L’operazione rappresenta un duro colpo alla criminalità organizzata del territorio. Grazie all’azione sinergica tra i vari reparti dell’Arma dei Carabinieri e alla determinazione della Procura, è stato smantellato un pericoloso gruppo criminale capace di gestire traffici illeciti e di detenere un arsenale da guerra.
Resta comunque fermo il principio della presunzione d’innocenza per gli arrestati fino a sentenza definitiva. L’indagine, però, ha già consegnato alla giustizia elementi che potrebbero rivelarsi decisivi per il processo, segnando un’importante vittoria dello Stato nella lotta alla criminalità.