Affiliato da fine anni anni ’90, era considerato un ‘mediatore
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La ‘faccia bella’ della famiglia, ma anche una ‘cosa unica’ con i fratelli maggiori Nicolino e Gianluigi. E’ il ritratto di Carmine Sarcone che emerge dall’ultimo troncone dell’inchiesta ‘Aemilia’, con dichiarazioni di pentiti riscontrate nelle indagini che hanno portato al fermo del 39enne per associazione mafiosa: uomo al centro di dinamiche di ‘Ndrangheta dalla fine degli anni Novanta, Sarcone era diventato il punto di riferimento del gruppo emiliano legato alla Cosca Grande Aracri, nel momento in cui familiari e altri esponenti di spicco sono finiti in carcere. Per tracciarne l’identikit criminale gli investigatori si sono basati su più indagini di criminalità organizzata, tra cui ‘Pendolino’, ‘Scacco Matto’, ‘Edilpiovra’, ‘Idra’, ‘Kyterion’, ‘Valpolicella’ e soprattutto ‘Aemilia’, dove è stata evidenziata la struttura moderna dell’organizzazione che affianca la classica tradizione ‘ndranghetistica e penetra la realtà socio-economica emiliana. Diversi collaboratori hanno indicato in Carmine il rappresentante dei fratelli, soggetto di grande intelligenza e altrettanta disponibilità di liquidità, in grado pure di recuperare armi per il boss Nicolino Grande Aracri. A lui è stato spesso affidato il compito di mediare all’interno del gruppo, oltre che tra il gruppo e altri contesti criminali, ad esempio quando con questi c’è stata l’occasione di portare a termine la monetizzazione di assegni di provenienza illecita e conseguente spartizione. Recentemente avrebbe assunto il ruolo di raccordo tra detenuti e territorio, dove ha continuato a operare fino ad occuparsi di ‘aggiustare’ la posizione di alcuni imputati, indottrinando o intimidendo testimoni del processo ‘Aemilia’, tentando di addolcire la posizione giudiziaria dei Sarcone, ad esempio sul maxi-affare edilizio di Sorbolo, nel Parmense.