Ancora una volta, Mario Oliverio finisce sotto la lente della Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Un’ennesima indagine, notificata a distanza di sei anni dai fatti contestati, riaccende il dibattito sulla gestione della giustizia in Calabria. L’ex presidente della Regione non usa mezzi termini e parla apertamente di “pregiudizio accusatorio”, un’accusa che, secondo lui, sarebbe già stata evidenziata dalla Suprema Corte di Cassazione nei confronti della stessa procura, all’epoca guidata da Nicola Gratteri.
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“Non pago di ricevere assoluzioni, proscioglimenti e decreti di archiviazione, mi si notifica una nuova indagine a distanza di sei anni dai fatti”, attacca Oliverio, denunciando una strategia dilatoria che, a suo dire, avrebbe il solo scopo di mantenere alta l’attenzione mediatica sul suo nome.
L’accusa? “Abnorme”, secondo l’ex governatore, che parla di un unico capo di imputazione a suo carico, all’interno di un procedimento che coinvolge decine di altre persone: avrebbe istigato un dirigente regionale a prorogare per un anno il contratto di due collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co.). “Un’accusa basata su un falso presupposto e una falsa affermazione”, afferma con decisione.
Ma il punto centrale della sua denuncia non è solo il merito della vicenda, bensì il metodo. “È inaccettabile che un’indagine parta con sei anni di ritardo, fuori da ogni norma processuale, che invece esige celerità”, sottolinea Oliverio, parlando di “strategia dilatoria colpevolissima” che minerebbe la credibilità della giustizia stessa.
Parole dure, che riflettono un malessere già avvertito da molti in Calabria, dove l’uso del “tempo giudiziario” diventa spesso strumento di scontro politico. “Questa non è giustizia”, conclude Oliverio, lasciando intendere che la battaglia non si fermerà qui.